Nicola Micali nasce a Messina e intraprende la sua attività giovanissimo, quando sente che la trasformazione della materia gli è propria, gli appartiene, stimola la sua creatività e alimenta la sua anima. Il nigredo (la “nerezza”) è quel processo alchemico della prima fase di lavorazione della materia per giungere alla pietra filosofale. Da uno stato di decomposizione si forma una massa nera che rappresenta l’iniziazione, un ritorno allo stadio primitivo: il caos, il disordine primordiale dal quale tutto si è creato.
Il Chaos è la personificazione di questo disordine negligente dove compaiono le divinità primigenie. Queste tematiche sono la fonte di ispirazione di Micali e restituiscono nelle sue opere i valori estetico-culturali. L’artista recupera materiali di riciclo come il ferro e il legno, li lavora a mano dimostrando oltre che creatività una grande propensione all’uso degli attrezzi, anche questi da lui costruiti. Non è uno scultore, come prassi molto comune, che utilizza le nuove tecnologie al computer per realizzare le opere, ma ogni pezzo unico che esce dalla sua officina è da lui forgiato con grande passione e fatica.
È noto, purtroppo, come la scienza e l’informatica stia sempre più invadendo il campo artistico, ma fortunatamente il processo è riconoscibile dagli esperti e viene valutato di conseguenza. Micali ridà nuova vita a ciò che la società scarta perché vecchio, inutile, da sostituire col “nuovo” secondo un principio consumistico che ci porta a non affezionarsi all’antico, alla tradizione, a cancellare i ricordi. Una sorta di nichilismo modernista che rigetta il passato ed è negazione dei valori morali, culturali e religiosi.
La Maschera: questo elemento è da sempre usato dall’uomo sin dall’antichità per celare il proprio io, un non rivelarsi per ciò che si è, nascondersi per essere altro, altra persona, altra identità nascosta. Le maschere di Micali, per quanto possano sembrare inquietanti, rimandano alla drammaticità e la verità della vita, a quel senso di occulto e segreto che ognuno di noi vorrebbe talvolta essere. E la domanda è: chi c’è dietro la maschera? C’è la nostra essenza taciuta, le nostre paure, le nostre incertezze. Nel Medioevo la maschera era uno strumento di tortura per rendere le persone fragili e confessare i propri delitti, svelare ciò che erano.
“Il ferro freddo e apparentemente distante, colpisce per il calore della sua esistenza, mentre ossa e fili di rame, materiali umili ma nobili, diventano strumenti del pensiero dell’artista” (dalle parole di Micali). La maschera conserva quell’alone di mistero che ci fa interrogare sulla nostra identità, su chi siamo, su chi vorremmo essere e su quante facce vi siano nel nostro profondo. Micali ci fa riflettere su quante cose siamo dietro quella maschera che ci riporta alle origini dell’età del ferro, a cavallo tra il II e il I millennio a.C., nella quale si verifica il passaggio della lavorazione del bronzo a quella di altri metalli primari per le popolazioni protostoriche. La sua duttilità e conseguente facile uso portò ad un superamento deciso nell’evoluzione dell’uomo e nell’organizzazione della vita quotidiana. Micali con le sue opere ci riporta ad un passato arcaico, primordiale, un primitivismo che sentiamo essere necessario per contrapporsi e bilanciare una dilagante modernità e un’accelerazione storica che ci fa perdere il senso del tempo e come assaporarlo.
Le sue opere sono visibili al sito web e fb: