#PILLOLE DI BRIANZA: Proprietari terrieri romani in Brianza

0
La scorsa settimana, attraverso le testimonianze letterarie di Polibio, storico del II secolo a.C., e Strabone, geografo di età augustea, abbiamo cercato di ricostruire il panorama agricolo transpadano, ricordando però come l’area geografica interessata dalla loro descrizione fosse troppo vaga per formulare un giudizio definitivo sulla situazione del settore primario in Brianza in età romana. Le testimonianze più significative in merito a questo specifico territorio, tuttavia, ci giungono da due importanti personalità del mondo romano alto-imperiale: Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane. I Plinii erano infatti importanti proprietari terrieri nell’area del comasco, ai confini dei territori brianzoli, e conseguentemente dovevano conoscere bene quest’area (dobbiamo al più grande, ad esempio, la prima citazione letteraria del lago denominato Eupili, ovvero il lago di Pusiano in alta Brianza). Plinio il Vecchio nella sua “Naturalis Historia” (opera enciclopedica in 37 libri su botanica, zoologia, geografia, antropologia, medicina e mineralogia), parlando dei territori transpadani ricorda come “dopo il vino ed il frumento, le rape sono il terzo prodotto della Transpadana”, ortaggio che – prosegue il comasco – ha il vantaggio di non necessitare di alcun terreno specifico e di trovare il proprio clima ideale fra le nebbie e le brine del freddo dei territori transpadani. Una testimonianza interessante sulla modalità di conduzione delle terre in Brianza ci viene però da suo nipote, Plinio il Giovane, letterato e politico vissuto a cavallo tra I e II secolo d.C., di cui abbiamo un’interessante lettera rivolta ad un amico proprio in merito a questioni agrarie. Plinio scrive di essere dubbioso sulla possibilità di acquistare un podere situato in mezzo ad altri due terreni di sua proprietà (sempre al confine tra comasco ed alta Brianza), citando vantaggi e svantaggi che una simile compera avrebbe comportato. Innanzitutto, l’acquisizione di questo possedimento avrebbe permesso di ricongiungere in un’unica proprietà tutti i suoi possedimenti, producendo così un risparmio generalizzato nella gestione della tenuta: ci sarebbe stata un’unica villa centrale da usare come residenza, permettendo di dedicare alle altre ville periferiche solo la manutenzione necessaria; Plinio avrebbe potuto avvalersi del medesimo personale per tutte le proprietà, affidarle ad un unico gestore, effettuare un solo viaggio per visitare l’intero complesso. Per di più i territori in questione vengono da Plinio definiti “fertili, grassi, ricchi di acqua: con campi, vigne e boschi, i quali con la legna danno un profitto modesto, ma sicuro”. Di contro, concentrare tutti i possedimenti sotto il medesimo cielo avrebbe esposto Plinio al rischio di fare i conti con raccolti carenti generalizzati in caso di cattive condizioni meteorologiche (rischio invece evitabile disperdendo le proprietà in luoghi diversi), e avrebbe privato il comasco del piacere di viaggiare per visitare le sue tenute site anche in altre località d’Italia. E’ poi divertente leggere lo sfogo di Plinio contro i coloni in affitto sulle sue proprietà, incapaci di dare i risultati sperati. La testimonianza di Plinio risulta interessante perché mostra come in Italia i possessori terrieri della prima età imperiale non sempre godessero di latifondi compatti, ma che le proprietà fossero talvolta frammentate, ed è lecito ipotizzare che ognuno di questi possedimenti, pur entrando nelle mani di un unico proprietario, mantenesse una propria fisionomia, conservando inalterate le caratteristiche produttive originarie. La diffusione di grandi proprietà terriere in Brianza è inoltre ben documentata: ad esempio, a Besana in Brianza sappiamo avesse le sue tenute lo stimatissimo generale Verginio Rufo, famoso per aver rifiutato la porpora imperiale dopo la morte di Nerone. Un grande aiuto nella ricostruzione delle proprietà terriere di età romana in Brianza viene poi dalla toponomastica (per quanto si tratti di ipotesi difficilmente verificabili), ed in particolar modo dai toponomastici “prediali”, ovvero legati al nome del possessore di tenute (“praedia” in latino) in loco. Molti sono riconoscibili dal suffisso in –ano (così Cesano, Anzano, Giussano, forse Biassono), ma anche tramite il suffisso in –ate ( Albiate, Agrate), a cui va però prestata attenzione, dal momento che talvolta è caratteristico anche di toponimi indicanti una particolare condizione geologica (come Renate, in riferimento alla condizione sabbiosa -“rena” in latino- del territorio locale).

CLICCA QUI E SOSTIENI LA NOSTRA VOCE LIBERA

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

3 × quattro =