Un Popolo esiste se è una Nazione
Nell’aprile del 1969, perso il referendum sulla riforma del senato e della regionalizzazione, il generale Charles de Gaulle si dimise dalla presidenza della Repubblica e, partendo per un suo volontario, breve, esilio in Irlanda per non influenzare le nuove elezioni politiche, disse così: “I popoli passano, le nazioni restano”.
Frase paradossale: semmai si potrebbe pensare il contrario. Basta guardare come si ridefinisce col passare del tempo una carta di geografia politica per accorgersi della labile permanenza dei confini che definiscono una nazione. Dunque? Una frase che riflette l’abbaglio di uno sconfitto?
Invece, una frase profetica: un popolo esiste se è una nazione. Per capire meglio, si potrebbe studiare qualche capitolo della filosofia della storia di Hegel e come questa venga ricompresa con straordinaria originalità ne Il tramonto dell’Occidente di Osvald Spengler. Ma si può tranquillamente soprassedere, anche perché non credo che de Gaulle pensasse ai due filosofi, quando pronunciò quella frase, ma piuttosto alla sua lunga esperienza politica e militare.
De Gaulle oggi sarebbe un paladino del sovranismo; d’altra parte aveva anche affermato che è sempre esistita un’antica relazione tra la grandezza della Francia e la libertà del mondo. In questo caso esagerando un po’ troppo.
Un popolo definisce la sua identità storica e culturale se è una nazione; diversamente è un nomade, un senza patria che può solo illudersi di avere una storia e una cultura. E’ semplicemente un soggetto, storicamente, culturalmente indefinito. Certo, è conveniente propugnare questa indefinitezza come giusta appartenenza a un mondo senza confini: un fantasioso multiculturalismo che, in realtà, è la caratteristica della massificazione propria della globalizzazione, in cui tutto diventa il contrario di tutto, in cui si annullano le differenze, e il tutto e il niente finiscono per essere la stessa cosa: un nichilismo compiuto, vera malattia spirituale del nostro tempo.
La vera sciocchezza politica è l’attacco al sovranismo, supponendo semplicemente che esso sia la difesa dei confini dai flussi migratori, e non piuttosto la ricerca di un modello di sviluppo che cerca di arginare le pretese di un’economia internazionale aggressiva della sovranità nazionale quando questa intende sostenere la propria arte, la propria cultura, la propria politica, la propria economia. La nazione più sovranista della Terra è l’India, che riesce ad avere un solo popolo con nove lingue e almeno quattro religioni ufficiali, dialettizzandone le differenze e portandole a unità: appunto, lo Stato indiano, cioè la più grande democrazia della Terra, che si è liberata dalla dominazione coloniale lottando come popolo che sa di essere un corpo vivente solo nella propria nazione. L’inno nazionale indiano inizia con le parole: “Onore alla madre”, alla madre India, alla nazione che genera un popolo.
Guardando l’Europa, come si può pensare che popoli dominati per quasi mezzo secolo dal regime comunista sovietico non vogliano ricostruire la propria storia in una nazione, non cedendo sovranità, quando, appunto, per quasi mezzo secolo hanno dovuto cedere la loro sovranità ai dominatori?
Certo, più facile per gli Stati che hanno vissuto dal dopoguerra nella democrazia cedere parte della propria sovranità a un’ideale unità europea, sempre incompiuta, sempre da ridefinire. Un’Europa democratica che nel ’53 assiste senza fiatare alla repressione delle rivolte operaie nella Germania dell’est; nel ’56 non muove un dito per impedire ai carri armati sovietici di annientare il popolo ungherese; nel ’68 osserva con un’ipocrita lacrimuccia la distruzione della primavera di Praga. Poi, naturalmente, ci sarebbe da dire sulla Polonia, sulla Romania …
Nonostante la storia recente, l’Europa occidentale ha l’arroganza di dare lezioni di democrazia a quegli Stati – Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia – che, difendendo la propria sovranità da internazionalismi europeisti, dopo aver subito l’internazionalismo comunista, stanno ricostruendo l’identità politica e culturale di un popolo in una nazione.