Quando Silvio asfaltò Santoro e Travaglio

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articolo pubblicato sul mensile CulturaIdentità, giugno 2021

“Le grandi firme come Biagi mi attaccano? Sono gelosi. L’80% dei giornalisti è di sinistra”. A tirar fuori dal Cavaliere queste dichiarazioni, passate poi alla storia dell’informazione, è nientedimeno che Boris Johnson: sì, proprio lui, il primo ministro inglese, allora direttore di ‘The Spectator’, e autore con Nicholas Farrel, editorialista de ‘La Voce di Rimini’, di un’intervista al premier Silvio Berlusconi (settembre 2003).

La reazione della Federazione nazionale della stampa è furibonda, con il segretario generale, il compagno dei compagni, Paolo Serventi Longhi, che afferma che “La vera anomalia è un premier come Berlusconi: un imprenditore di scarsa tradizione familiare, i cui interessi sono diventati il punto centrale del suo esecutivo”.

Frasi che simboleggiano cos’è stato per tanti anni il presidente di Forza Italia per la gran parte dei media, cioè per il sistema giornalistico di sinistra: un nemico da abbattere. Ma lui Berlusconi non è mai arretrato e ha replicato con gesti memorabili che i libri di storia non potranno non menzionare. A partire dalla spolverata anti-Travaglio.

Gennaio 2013, il leader degli Azzurri si trova nella fossa dei leoni, è da solo alla trasmissione Servizio Pubblico su La 7. Conduce Michele Santoro, c’è Luisella Costamagna, c’è Marco Travaglio: i nomi, emblema della cerchia mediatica progressista, sono già tutto un programma, ma lui ha accettato lo stesso l’invito. Durante la diretta, cambiano tutti posto in un gioco della sedia senza musica. Dopo il primo dei suoi due interventi Travaglio viene bloccato nella postazione di Berlusconi, che chiede a Santoro: “Lo faccia restare vicino, così lo guardo in faccia”. Poi, armato di letterina scritta per l’occasione il Cavaliere si siede sulla scrivania del conduttore e comincia leggere accusando il giornalista di essere “il campione della diffamazione”, e citando 10 condanne per questo reato. Santoro si infuria, Berlusconi torna sulla sua sedia, temporaneamente occupata da Travaglio, e prima di tornare a sedersi, la pulisce ben bene, con i fogli ripiegati dei suoi appunti, poi con il fazzoletto estratto dalla sua tasca destra. ‘Matar el toro’ non riesce, anzi: la schiera nutrita dei compagni riceve un’incornata fatale. Doveva essere un plotone d’esecuzione, invece la cilecca è clamorosa.

Altro anno, altro colpo di teatro: aprile 2018, consultazioni al Colle dopo le ultime elezioni che hanno segnato il sorpasso storico della Lega su Fi, quando tutti gli analisti, specie a sinistra (ma non solo), danno l’ex premier sul viale del tramonto. L’incontro con il Presidente Sergio Mattarella viene seguito dalla dichiarazione congiunta del centrodestra, letta da Matteo Salvini. Ma il capo di Forza Italia all’improvviso si prende la scena: dimostra di conoscere a memoria il discorso dell’alleato, conteggiando con le dita i punti programmatici, e ripetendo con il labiale le parole. Poi, al termine dell’intervento Berlusconi sposta ‘letteralmente’ Salvini e Meloni, impugna i microfoni e raccomanda ai cronisti di “fare i bravi” e finisce menando fendenti ai 5S.

Altro episodio, altro ricordo, questa volta vissuto in prima persona da chi scrive. Palazzo Grazioli, l’ex residenza romana di Berlusconi, piccolo gruppo di giornalisti in attesa del proprio turno di intervista. Si scambiano quattro chiacchere, e come sempre sei circondato dal pensiero di sinistra, che vomita insulti su chi sta per intervistare: ma poi arriva il Cavaliere, offre una caramella, racconta un aneddoto o una barzelletta, ti mette a tuo agio e il collega che va con l’eskimo in redazione diventa improvvisamente più mansueto. Resta alla fine il dato principe: Berlusconi ha lottato contro i nove decimi dei media nazionali. E oggi nel 2021 la situazione non è cambiata tantissimo: la sinistra gode del consenso, della benevolenza e della complicità della maggior parte dei giornalisti. Molti agiscono per fede politica, molti altri seguono il vento della carriera. E quella scritta, per dirla con una battuta di Leo Longanesi, al centro della bandiera italiana: “Ho famiglia”.

1 commento

  1. La morte mette sempre un punto fermo sulla vita dell’Ei fu. E poi, per i personaggi che vi possono accedere, semmai, sarà la Storia a dire la sua. Al tempo in cui nei paesi a dimensione uomo, le campane a morto si passavano l’un l’altra la voce, per comunicare ai compaesani tutti la morte di uno loro, semmai, dopo un’attenta riflessione, a secondo del personalissimo giudizio, ciascuno diceva: doveva morire cent’anni prima. Oppure, il suo contrario e cioè: doveva morire cent’anni dopo. E mentre tutto questo accadeva, con animo sereno, gl’interessati si preparavano per partecipare al funerale.
    Per le anime morte de’ ‘Il Fatto quotidiano’, invece, è la festa dell’orrido.

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