Se la violenza insanguina i camici bianchi

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L’estate finiva quando l’Italia inorridì, scoprendo, sulla pelle di una dottoressa siciliana, i tremendi rischi delle professioni mediche. A settembre 2017, a Trecastagni, nel Catanese, una dottoressa di 51 anni fu aggredita e violentata, nella guardia medica in cui prestava servizio, da un 26enne. Il caso finì sulle prime pagine dei giornali, accendendo – finalmente – i riflettori sui gravi pericoli cui gli operatori sanitari erano (e sono) esposti nella loro attività, preziosa e fondamentale, per le comunità. Il fenomeno delle aggressioni è un problema importante che affligge la sanità italiana. Per questo, il dibattito è diventato politico e si lavora a soluzioni legislative che possano dare una risposta alle esigenze di serenità e sicurezza dei camici bianchi. I dati parlano fin troppo chiaro.

All’Inail, per il solo 2018, sono state denunciate 1.200 aggressioni. Di queste, 456 si sono consumate nei pronto soccorso, 320 negli ambulatori e 400 in corsia. Il 16% delle vittime ha riportato traumi che hanno richiesto cure sanitarie. Numeri impressionanti ma, comunque, parziali: spesso medici e infermieri non denunciano le violenze. A volte per paura, altre perché la situazione s’è così “incancrenita” che l’aggressione è vista come un “rischio professionale”, alla quale s’è destinati, fatalisticamente. Per superare l’impasse, nei mesi scorsi s’era a lungo dibattuto su una proposta che a breve arriverà all’esame del Parlamento: equiparare lo status dei sanitari a quello di pubblico ufficiale. Così si attiverebbe, in caso di aggressione, la procedibilità d’ufficio da parte dei magistrati. Ma una legge da sola non basta.

Per queste ragioni, il 19 febbraio scorso al Senato, è stato presentato un dossier, da Fratelli d’Italia, che racchiude – oltre ai dati e all’analisi – le proposte che, Regione per Regione, la compagine vicina a Giorgia Meloni ha presentato e presenterà ai consigli locali. Non si combatte la violenza senza considerare, caso per caso, città per città, le misure minime necessarie. Tra cui l’istallazione di impianti di videosorveglianza, posti di polizia nei nosocomi, polizze assicurative e tutele per i lavoratori della sanità. Solo sconfiggendo la violenza, ha spiegato Giorgia Meloni che ha stimato in 3mila le aggressioni all’anno, si potrà garantire qualità al sistema sanitario nazionale. L’incontro, a cui hanno preso parte Filippo Anelli (Federazione nazionale Chirurghi e odotoiatri), Silverio Scotti (Fimmg) e Tonino Aceti (Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche) ha destato grande attenzione ed è stato organizzato da Marta Schifone, responsabile nazionale Fdi per le libere professioni. Schifone ha spiegato: “Ci siamo occupati di sanità italiana, di operatori sanitari, di questa incredibile ed inaccettabile escalation di violenza che colpisce centinaia di camici bianchi. Il documento raccoglie le mozioni presentate da ogni gruppo consiliare regionale di Fdi in tutta Italia; è battaglia di civiltà e di giustizia e vogliamo condurla fino in fondo, a fianco dei medici e degli infermieri italiani”. “Chi aggredisce un medico – ha concluso – aggredisce se stesso: difendiamo chi difende la nostra salute”.