Città ridotte a banchi di scuola elementare scarabocchiati da grafomani. Sono le cosiddette “tag”, i “segni” con cui i graffittari vandalizzano i muri per segnalare la loro presenza. Ma non tutti quelli che fanno graffiti si limitano a una versione alla “io sono passato di qua” della pipì del cane per marcare il territorio. Le immagini del monumento alla Repubblica Francese deturpato da scarabocchi e slogan dopo le manifestazioni elettorali della settimana scorsa hanno fatto il giro del mondo. Ma ci sono anche artisti veri che alla pittura murale danno un senso alto, reale, sociale.
Le città, e le periferie, allora, vengono nobilitate da opere di grandi dimensioni. Certo, non tutte sempre apprezzate. L’Italia come al solito si divide come nel caso del murale dedicato a Michela Murgia, realizzato nel V Municipio di Roma. Complice il personaggio controverso (ma, in qualche modo, tutti sono controversi) e soprattutto la scelta di corredarlo con una bandiera ideologicamente carica come quella arcobaleno, sono stati in molti a storcere il naso per questa spesa di denaro pubblico, vista più come un atto di propaganda politica che non un omaggio a un personaggio illustre.
Certo, si dirà, l’arte murale nasce “politica”, basti leggere il Manifesto della Pittura Murale di Mario Sironi: “La pittura murale è pittura sociale per eccellenza. Essa opera sull’immaginazione popolare più direttamente di qualunque altra forma di pittura”. Eppure, si può fare pittura morale anche Politica (con la P maiuscola), senza scadere nella propaganda di fazione. Intendendo come Politica qualcosa inteso alla crescita del popolo, a cui è destinata l’opera d’arte, e la sua elevazione. Per esempio attraverso la letteratura. Il popolo che si eleva con gli esempi dell’arte letteraria e della poesia, poi sarà più libero di scegliere.
Del resto, quanti sono i modi per fare divulgazione letteraria oggi? A grandi linee quattro: a scuola, nelle conferenze, nelle rubriche televisive e cartacee o aprendo un canale social dedicato. C’è un ragazzo di Udine però, che da qualche anno ha trovato un’alternativa ai campi appena elencati. Si chiama Simone Mestroni, ha trentacinque anni ed è il creatore del progetto “Città Della Poesia”.
Di che cosa si tratta?
Città Della Poesia è una pensata semplice ma con un importante potenziale per quanto riguarda l’accrescimento culturale popolare. Il mio scopo da principio è stato quello di capire come mettere in relazione la poesie e la letteratura con le persone comuni, in particolare quelle delle “classi popolari”, senza però aspettare che siano loro a ricercarle. Se si vuole fare divulgazione letteraria per le masse bisogna entrare nel loro impianto emotivo con un approccio ponderato, piacevole e carico di fascinazione. I campi sopraelencati rispondono agli appetiti culturale di persone già formate o con un interesse pregresso per la materia e autonome nel ricercarla, mentre il mio intento invece è quello di avvicinare chi la cultura letteraria l’ha sempre schivata di proposito.
In che modo esattamente?
Attraverso il disegno. Fondamentalmente è un approccio elementare, proprio come quando la maestra ci insegnava l’alfabeto abbinando la A di ape alla sua figura di riferimento. Città Della Poesia si sostanzia quindi attraverso dei murales che raffigurano sempre il volto e le strofe di grandi scrittori dell’ottocento e novecento. In questo modo si crea l’imprinting tra il passante ed il mondo poetico letterario.
Un modo anche per riqualificare la città; dico bene?
Come effetto collaterale probabilmente sì, ma non ho questa preoccupazione. Tanti artisti vendono se stessi e la propria arte urbana come qualcosa che è bene fare per riqualificare aree abbruttite. Io invece parto da un binario di principio che è quello di intercettare la persona che passeggiando per andare a fare altro, si imbatte nel ritratto e nelle parole di un grande poeta. Se poi questo riqualifica una parete in decadenza tanto meglio, ma non ricorro ad espedienti o comunque non giustifico l’importanza di realizzare una mia opera col pretesto di “facciamo un murale così riqualifichiamo la zona”. Io dico: “facciamo un murale letterario così insegniamo qualcosa di importante alla gente”.
Ed il riscontro qual è stato?
Direi soddisfacente e lo dico sulla base di quanti mi scrivono o comunque vedo che scrivono sui social riguardo ai dipinti che dissemino per le strade. Parlo con molta gente, gente davvero comune e che spesso mi ringrazia con grande riconoscenza per avergli aperto una finestra su un mondo e su degli autori che hanno imparato ad apprezzare.
Forse la chiave del successo è che questo progetto nasce dal basso…
Perché se nasceva dall’alto cambiava qualcosa? Bisogna saper valutare le cose in sé, senza incensarle se profumano di periferia e dileggiarle se brillano di centro storico. Va di moda essere collettivisti e periferici. Io sono di periferia ma con una predilezione per l’individuo. Per paradosso, il primo autore che ho ritratto è stato Louis Ferdinand Céline nella piazza più bella e centrale di Udine. La chiave di quel po’ di successo che ho ottenuto pertanto sta nel fatto che se presentati in un certo modo, i grandi scrittori possono fare breccia anche in quelli che fino al giorno prima reputavano la poesia “una frociata”.
Un termine forse inappropriato, non trovi?
Amo Pasolini, Oscar Wilde, Marguerite Yourcenar e Guido Keller e l’unica cosa che trovo inappropriata oggi è la scure di chi crede di poter ridisegnare l’esistente a partire dalla messa al bando dei termini che non gli piacciono.
Un ultima domanda: come scegli gli autori che dipingi?
Sulla base del loro essere scrittori. Punto. Non sono animato da nessun preconcetto ideologico. Disegno scrittori compromessi coi regimi nel Novecento, con l’antifascismo, con l’anticomunismo… non sono certo io quello che ha un problema con la libertà individuale di avere delle idee. La soddisfazione più grande comunque è stata quella di dipingere Giovannino Guareschi. Un uomo libero, soprattutto da prigioniero.