Non vittime, ma sopravvissute. Donne – in questo caso – che dopo aver subito soprusi psicologici e fisici, sono uscite, sopravvissute appunto, da relazioni violente. Ma chi resta non è salvo. Serve tempo, si dovranno affrontare risvolti emotivi e pratici, tra psicoterapia ed aule di tribunali, racconti ripetuti all’infinito e media indagatori. E gli occhi di chi guarda che paiono giudicare e soprattutto trasudano pena, o di chi è coinvolto, seppur indirettamente, emotivamente come amici, genitori. Perché la violenza lascia il segno. Sempre. Una ferita profonda che non tutti riescono a suturare, figuriamoci guarire. E si entra nel turbinio del nuovo quotidiano. Si “torna a vivere”. Come, non si sa. E questo “come” diventa obiettivo di vita.
La domanda resta ferma nei giorni che, invece, scorrono: come superare il trauma ed avere una vita soddisfacente e libera dal pensiero della violenza subita? Ma probabilmente, più che superarlo, ci si può convivere, affrontandolo in base al proprio essere, alla resilienza personale, alla gravità del fatto, alla capacità di affrontare la perdita del senso di onnipotenza che si scontra con la palesata vulnerabilità. E per evitare strascichi che durino tutta la vita, è importante affrontare un percorso di psicoterapia. Risanare la ferita e ricollegare il prima con il dopo, evitando che ansia e depressione prendano il sopravvento. E proprio la definizione di “prima e dopo” può essere difficile da accettare tanto che inconsciamente, la donna, abituata a quel tipo di relazione può scegliere ancora quel tipo di persona.
Per chi non abbia un vissuto simile, questa reazione appare assurda, inspiegabile, frutto di debolezza. Ma parlando con la psicoterapeuta Paola Balocco, esperta della materia ed attiva in Unione Nazionale Vittime anche in questo campo, si scopre come invece il giudizio sia quantomeno affrettato. I motivi infatti sono molteplici: – la “normalità” insita nell’aver vissuto in una famiglia con gli stessi meccanismi. L’esempio della relazione d’amore genitoriale è quello dell’abitudine alla violenza; con essa si esprime l’amore per l’altro. Non è detto che la coppia di riferimento fosse violenta fisicamente, magari lo era solo verbalmente – una bassa autostima che fa pensare alla donna di meritarlo. L’uomo riesce nel primo periodo della relazione a nascondere gli aspetti violenti molto bene, lasciandoli emergere solo quando la partner è innamorata: per “riparare il danno”, questa volta mi comporterò così bene che riuscirò a cambiarlo… Di fatto, le cause possono essere molteplici. Anche fattori di personalità, per esempio, possono compartecipare al ritrovarsi una relazione violenta. In ogni caso, ad essere colpita per prima è l’autostima della donna, il suo valore come persona, mista ad un senso di impotenza. Spesso associate a minacce dirette o ai familiari. A questo si possono aggiungere, come troppo spesso avviene, abusi fisici.
Da eventi traumatici simili possono insorgere psicopatologie anche molto gravi: dalla depressione ai disturbi d’ansia al disturbo post traumatico da stress (DPTS). Il “ce la faccio da sola, è tutto finito” non funziona. La ferita deve poter guarire con il giusto trattamento per permettere alla donna di ritrovarsi. Il DPTS ha la caratteristica di riportare a galla i ricordi anche se il soggetto non vuole, in automatico ed in diversi ed inaspettati momenti diversi. E quindi affrontarli nel modo giusto è fondamentale per avere un futuro il più possibile “normale”. Uscire dalla relazione non è semplice. Spesso l’uomo inquina i rapporti allontanando tutti, fino ad isolare la vittima che perde contatti con amici e parenti. Talvolta a peggiorare la situazione è la mancanza di indipendenza economica, la capacità di vedersi come una persona che può farcela senza di lui. I molti traumi ripetuti che portano a sviluppare “l’impotenza appresa” rischiano di bloccare la donna in un mondo di orrori che non sa affrontare, un incubo infinito in cui tutti paiono cambiare bobina e vivere una realtà parallela ignara del male che si sta consumando attorno. Associazioni come Unione Nazionale Vittime nascono anche per questo, per sostenere e accompagnare la vittime fino alla fine del tunnel di dolore. Ma sono soprattutto amici, parenti e perfino vicini di casa o persone sconosciute che assistono a reazioni violente a poter dare un contributo denunciando e portando la donna ad accettare ed affrontare la situazione in modo definitivo. A volte non farsi gli affari propri può voler dire salvare una vita.