Alta tensione Ucraina-Russia: si eviti la guerra

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Il mondo sta assistendo con una certa apprensione alla crisi Russia – Ucraina. Crisi che, col coinvolgimento (sia pure a diverso titolo) di USA, NATO, paesi europei e non , rischia di diventare, se la situazione dovesse sfuggire di mano, uno scontro diretto tra USA e Russia, entrambi supportati dai rispettivi alleati. In effetti uno scontro diretto e su vasta scala avrebbe un esito incerto e sarebbe controproducente per ambedue le parti. Il blocco occidentale nel suo insieme – ma vale già per gli USA da soli – può contare su un potenziale probabilmente superiore a quello della controparte russa, ma questa godrebbe dell’innegabile vantaggio di giocare in casa ovvero ai suoi confini, dove la sua massa di manovra è certamente superiore.

Certo è che se ci dovesse essere uno scontro non è da escludersi la sua estensione ad altri teatri, a causa del gioco delle alleanze e dell’intersecarsi dell’azione degli stati – specie di quelli più potenti come USA e Russia – alle più disparate latitudini.

Se a questo aggiungiamo che i due principali contendenti della disputa possono contare sui maggiori arsenali nucleari del mondo diventa davvero chiara la portata del rischio che stiamo correndo. Nonostante gli scenari di guerra paventati da molti è probabile che lo scontro frontale non sia voluto da nessuna delle parti in causa.

Di qui il lavoro incessante della diplomazia per disinnescare la crisi. Crisi che parte da lontano. Risale al 1954, infatti, il passaggio della Crimea, penisola prevalentemente russa e russofona, dalla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa alla Repubblica Socialista Ucraina, voluto dall’allora leader sovietico Krusciov. Quella che allora fu una modifica tra i confini di due stati interni all’URSS si trasformò, con la dissoluzione della stessa (1991), in una causa di forte attrito tra la Russia e l’Ucraina, divenute stati indipendenti. Oltre a motivazioni storiche ed etnico – linguistiche, la disputa ha assunto da subito una valenza strategica: la Crimea è fondamentale, per i russi, per il controllo del Mar Nero, ed infatti la flotta russa del Mar Nero è di stanza nel porto di Sebastopoli. Flotta russa sorta, come la Marina Militare Ucraina, dalla spartizione tra i due stati della Flotta del Mar Nero della defunta URSS dopo trattative decisamente laboriose tenutesi negli anni ’90 dello scorso secolo e che hanno sancito, tra l’altro, il diritto delle forze navali russe a permanere in Crimea. Un rapporto complicato, quello russo – ucraino, su cui si è innestata la contrapposizione geopolitica NATO – Russia.

Dopo la fine della Guerra Fredda e la dissoluzione del Patto di Varsavia prima, della stessa URSS poi, si è assistito ad un rapido passaggio dei diversi Paesi europei un tempo alleati dell’URSS nel campo occidentale, ovvero nell’UE e soprattutto nella NATO. L’Alleanza Atlantica, sopravvissuta alla Guerra Fredda, ha accolto nelle sue file non soltanto gli ex membri europei (ovvero tutti i membri a parte l’URSS) del Patto di Varsavia, ma anche alcuni stati facenti parte, prima del 1991, della stessa URSS, come le repubbliche baltiche.

L’avanzamento dell’Alleanza Atlantica fino ai confini della Russia certamente non è stato visto con favore da Mosca che, erede di fatto dell’ex URSS e desiderosa di preservare il suo status di grande potenza, vede in ciò una minaccia evidente. Di qui l’ostilità netta – ribadita più volte – all’entrata nell’alleanza a guida Usa dell’Ucraina, obiettivo perseguito dalla attuale dirigenza di Kiev. Privata dell’impero esterno, orfana dell’URSS, l’attuale Repubblica Russa, che già confina con la NATO per il tramite delle Repubbliche Baltiche, ritiene intollerabile l’ingresso di Kiev, con cui condivide un’ampia frontiera, nel club atlantico, che configurerebbe, dal punto di vista russo, una sorta di accerchiamento.

Lo scivolamento dell’Ucraina nel campo occidentale verificatosi in seguito alla rivoluzione del 2014 andò ad innestarsi su di uno scenario caratterizzato da una coesistenza non sempre facile con le minoranze russe che però rappresentano la maggioranza in Crimea e nella zona del Donbass. Di qui lo scontro tra Kiev e le minoranze russe che, col supporto di Mosca, avviarono la secessione, l’occupazione della Crimea da parte delle truppe di Mosca e la successiva annessione sancita da un referendum.

Per quel che concerne il Donbass, i separatisti russi hanno dichiarato la loro secessione dall’Ucraina e la parola è passata alle armi. Da allora la regione è di fatto divisa tra zone controllate dal governo di Kiev e aree controllate dagli insorti, che hanno proclamato la nascita di alcune repubbliche indipendenti. Ed è proprio in Donbass che, al momento in cui questo articolo viene scritto, si registrano scontri a fuoco (e violazioni del cessate il fuoco) quotidiani. È da lì che, se la situazione dovesse sfuggire totalmente di mano, potrebbe iniziare uno scontro su vasta scala.

È sempre di questi giorni la notizia dell‘ evacuazione in atto della popolazione civile delle zone controllate dai separatisti verso la Russia, e non è una buona notizia. Tutti i protagonisti della crisi, da Putin a Biden, dal presidente ucraino Zelensky ai principali leader europei, dichiarano la loro contrarietà all’opzione militare e la necessità di una soluzione diplomatica, che si sta perseguendo da più parti, ma, almeno finora, senza risultati significativi. È evidente che la posizione russa di totale contrarietà all’ingresso di Kiev nella NATO e la volontà, più volte espressa da questa, di entrare nell’alleanza atlantica, sono, di fatto, inconciliabili. Intanto le conseguenze della prova di forza in corso si stanno facendo sentire: il prezzo del gas, già nettamente in salita a causa della ripresa economica post Covid e della maggior richiesta a livello mondiale che ne è conseguita, è letteralmente salito alle stelle, seguito a ruota dal petrolio. Di qui la spirale inflattiva in atto che potrebbe spingere le banche centrali a ridurre o interrompere le politiche espansive in corso. Ciò rappresenta un problema serio per tutti, ma in particolare modo per l’Italia, che rischia di veder ridurre l’aiuto della BCE per la gestione del debito pubblico. E il nostro Paese è particolarmente vulnerabile anche agli effetti della crisi del gas in corso per la nota dipendenza dal gas russo. Allo stato attuale delle cose, l’Italia è, anche a causa di determinate scelte in materia di politica energetica, fortemente dipendente dalle importazioni di gas, di cui la Russia è il nostro primo fornitore, e il gas russo copre circa il 40% del fabbisogno nazionale italiano. Non è minore la dipendenza dal gas russo dell’UE presa nel suo insieme, anche se la situazione varia da nazione a nazione. Cosa certa è che, se si dovesse arrivare ad una chiusura totale dei rubinetti, il colpo per l’Unione, e in special modo per alcuni paesi membri, potrebbe essere da ko. Allo stato attuale delle cose, comunque, il dialogo è ancora aperto.

È nell’interesse di tutte le parti in causa che il buonsenso prevalga e che si arrivi, quanto prima, ad una soluzione politica che disinneschi la crisi e faccia scendere la tensione, divenuta, negli ultimi mesi, decisamente alta.

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