Archiviato Speranza i medici non vaccinati tornano al lavoro

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Nel suo discorso di insediamento, Giorgia Meloni ha esplicitamente escluso che il suo Governo avrebbe in futuro continuato ad adottare il cosiddetto modello Speranza. Dove “speranza” non è un semplice sostantivo ma un cognome. Un modello fatto di divieti, chiusure, obblighi vaccinali e lasciapassare pur di poter lavorare. Un metodo autoritario, quasi sovietico. Un modello fallimentare sotto ogni punto di vista. Da quello sanitario a quello economico, dal momento che i risultati in termini di mortalità sono stati più elevati rispetto ai Paesi che non hanno adottato queste odiose misure. Intendimenti che ad Enrico Letta hanno fatto “venire i brividi”. Parole sue. Termini che è riuscito a trovare a distanza di molte ore dalla pronuncia di questo intendimento. Deve aver provato a scervellarsi per trovare critiche possibili, il nostro Enrico. Ed ha scelto questo punto del discorso. Beato lui e poveri noi.  Dalle pagine di CulturaIdentità abbiamo immediatamente salutato questo annuncio con grande soddisfazione riservandoci però di attendere atti conseguenti successivamente a tale impegno. Chiedevamo che il primo atto concreto derivante queste parole fosse il reintegro dei medici e sanitari sospesi per inosservanza dell’obbligo vaccinale. Ebbene, sia riconosciuto a Giorgia Meloni di essere stata coerente e di parola. È subito passata dalle parole ai fatti. Il primo atto del Ministro della Salute Orazio Schillaci è stato infatti quello di annunciare che “è in via di definizione un provvedimento che consentirà il reintegro in servizio del suddetto personale prima del termine di scadenza della sospensione”. Un atto di pacificazione importante che dovrebbe essere seguito, se proprio vogliamo essere coerenti fino in fondo, da un giusto indennizzo per il danno inferto a queste persone. Non è semplicemente una misura doverosa perché oggi la pandemia è sotto controllo, quanto piuttosto un atto di giustizia nei confronti di professionisti che hanno pagato sulla loro pelle una scelta di libertà. E che si erano spesi per tenere in piedi il servizio sanitario durante la prima fase della pandemia. Quella più dura. Essere coerenti fra ciò che si fa e ciò che si dice aiuta a riappacificare il paese reale con il palazzo. A riacquistare fiducia nella politica. Pone le basi per una più serena convivenza civile. Stempera le animosità e le cattiverie. In finale aiuta il Paese a crescere. Dividerlo viceversa non aiuta affatto. Anche e soprattutto in termini economici. Non può esserci sviluppo dentro il conflitto. Un atto apparentemente simbolico che però è gravido di buoni frutti.  Se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo iniziare a guardare e lavorare al futuro con maggiore fiducia e speranza. Stavolta la parola “speranza” non è però un cognome.

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2 Commenti

  1. «Stavolta la parola “speranza” non è però un cognome». Per fortuna.
    Del resto, è sotto gli occhi di tutti che la sinistra tutta è un rottame di barca che da lustri malamente galleggia nei vortici di un fiume ideologico che scorre tra una fitta rete di secche. Sempre appunto in attesa di un “Papa straniero”. A dimostrazione della loro predisposizione alla sudditanza. È il Gran capo internazionale alla Stalin, o, in seconda battuta, il gran capo domestico alla Togliatti, che aspettano. A ogni modo, un arcipelago sinistro che comunque sembra essersi piazzato da lustri fuori dallo spazio-tempo. In quanto, poi, al sindacalista e deputo Aboubakar Soumahoro si è presentato da solo. Quel suo sfoggio di scarpe sporche, infatti, non è stato altro che un atto spocchioso. Per di più, protetto dalla sua medaglietta d’oro di neoparlamentare. Spiace soltanto che nessun commesso l’abbia fermato e invitato a uscire, dato che non aveva un abbigliamento decoroso e adeguato al … decoro e rispetto di quell’aula parlamentare. Soprattutto, spiace che l’invito non sia stato formulato dal presidente della Camera dei deputati. Non per niente, per entrare in un’aula di tribunale, la scelta dell’abbigliamento non è lasciata al caso o al ghiribizzo del singolo, ma all’osservanza del regolamento che lo disciplina.
    E pensare che la Camera e al Senato non abbiano un regolamento per la bisogna, è un pensare errato.

  2. Resta aperta la questione della fattiva assunzione di responsabilità. In soldoni, credo che chi ha sovrinteso allo scientifico annichilimento, tuttora in corso, del ceto produttivo di questo paese, dovrebbe essere chiamato a risponderne nelle opportune sedi.

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