“Evita di accostare a slogan politici i simboli religiosi, l’incoscienza religiosa rischia di offendere credenti e oscurare il principio di laicità”. Somiglia a una sorta di undicesimo comandamento dei “cattolici adulti”, la reprimenda che il presidente del Consiglio uscente, Giuseppe Conte, ha rivolto in Senato a Matteo Salvini, reo di baciare rosari e chiedere la protezione mariana. Fu Romano Prodi a coniare il termine “cattolici adulti” per indicare quei cattolici in politica “emancipati” dalla dottrina, propugnatori di una fede intimistica, che non si esprime in pubblico né con l’affermazione degli insegnamenti del Magistero e nemmeno – in quanto la forma è anche sostanza – con l’esibizione di simboli. Una fede insipida, che scioglie identità e cultura nel minestrone del conformismo globale.
Il richiamo di Conte a Salvini si innesta dunque in un filone ben preciso, che percorre tutte le società occidentali. È sempre di questi giorni una nota – firmata da tre parlamentari del Pd, Antonello Giacomelli, Michele Anzaldi e Salvatore Margiotta – che prende di mira una giornalista del Tg2, Marina Nalesso, perché “per l’ennesima volta è andata in onda ostentando un rosario come ornamento”. L’immagine, secondo i tre esponenti Dem, “è provocatoria e offende il sentimento religioso di milioni di italiani”. No, non si tratta di uno scherzo. Altro che le leggi che calpestano i principi non negoziabili, altro che feste cristiane vietate nelle scuole, secondo gli estensori della nota il sentimento religioso del popolo italiano verrebbe oltraggiato da una donna che sceglie di apparire in tv senza nascondere la propria fede. Così fosse, ogni italiano sarebbe livido di offese, subite ogni qual volta in un negozio si imbatte in un’immagine sacra esposta dietro al bancone oppure allorquando incontra un parente, un amico, un conoscente che, come la Nalesso, attornia il proprio collo con un rosario o con una catenina da cui pende la croce. Per gente come la Nalesso, forse, i tre esponenti Pd auspicano lo stesso trattamento che in Norvegia è stato riservato a Kristin Saellmann. Quest’ultima, volto della tv di Stato Nrk, è stata costretta dai vertici dell’azienda nel 2013 a non indossare più la croce che portava al collo durante la conduzione del tg perché – così recitava la nota – “i giornalisti devono avere un aspetto neutro” e “quel simbolo non garantisce l’imparzialità del canale”. Ironia della sorte: quel simbolo che nei piani alti della tv di Stato norvegese nemmeno si degnano di nominare, è la bandiera del loro Paese. Dall’altra parte del mare del Nord c’è la Gran Bretagna, la cui bandiera è addirittura una summa di varie croci (quelle di Sant’Andrea, San Patrizio e San Giorgio). Ma anche qui si registrano gli effetti di una laicità che cancella le radici. Anni fa un’impiegata della British Airways fu addirittura sospesa dal lavoro per essersi rifiutata di togliere o coprire la catenina con un minuscolo crocifisso. E poi accadde a un’infermiera, allontanata dall’ospedale in cui prestava servizio per lo stesso motivo. Al di qua della Manica, nella Francia patria della laicità, negli ultimi anni il Consiglio di Stato ha avuto un bel daffare: ad esempio ha fatto rimuovere una statua di Giovanni Paolo II e ha vietato la realizzazione di presepi all’aperto.
E qui da noi? Nel 2016 l’allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, chiese all’Anas di evitare la celebrazione religiosa prevista per l’inaugurazione della Ss77 “Val di Chienti” che collega Foligno a Civitanova Marche. È più un’offesa questo tentativo di relegare la fede nelle sacrestie o l’esposizione pubblica, da parte di un politico o di una giornalista, di un simbolo religioso? La riposta è presto detta: l’Italia è uno Stato laico, ma è anche una nazione dalla cultura cattolica, che si esprime nelle chiese, nei campanili, nonché con la devozione popolare. Chi impugna il concetto di laicità per negare questa dimensione, di fatto oscura la nostra identità. E questo sì che è un fatto di cui dovremmo preoccuparci.