Oggi inizia il Conclave per eleggere il successore di Pietro. Per i cattolici, l’intervento dello Spirito Santo guida l’elezione del nuovo papa, che comunque non prescinde da considerazioni molto politiche. Considerazioni nelle quali tanti vogliono mettere le mani, e fra questi si sono segnalati i francesi, che con Macron hanno dato l’ennesimo esempio storico di ingerenza nei fatti della Chiesa. Si parva licet componere magnis, l’inquilino dell’Eliseo era stato preceduto da Napoleone e da Filippo il Bello, il quale aveva portato all’estremo il suo scontro con il pontefice, Bonifacio VIII, nato nella Città Identitaria di Anagni nel 1230.
Il Papato e ciò che ruota attorno ad esso è qualcosa di unico e affascinante, si sa, e l’idea di poter influire sulla scelta del pontefice, indirizzare o addirittura sopraffarne il potere spirituale (e temporale) della Chiesa ha attirato sovrani, principi, imperatori sin dai tempi dell’apostolo Pietro. L’incontro-banchetto avvenuto tra Emmanuel Macron, presidente della laicissima Francia e i cardinali transalpini, è un chiaro esempio di ingerenza del potere temporale e politico in quello spirituale. Il pranzo tenuto a villa Bonaparte (megalomania portami via) tra Macron e i cardinali francesi non è certamente un simbolo di coerenza di una Francia che si dichiara laica ma che oggi, come nel passato, si è intromessa, anche adoperando la forza, nelle vicende “religiose” del conclave e Vaticano. Se a villa Bonaparte qualche giorno fa si discutevano le possibili strategie per l’elezione a pontefice di Jean-Marc Aveline, l’arcivescovo di Marsiglia che sembrerebbe essere il preferito di Emmanuele Macron (il quale, – ricordiamo – alla vigilia del funerale, aveva addirittura fatto trapelare dall’Eliseo che “In questo periodo di lutto e raccoglimento, non avrebbe effettuato alcun incontro diplomatico a margine delle esequie di sua Santità il Papa Francesco”), proprio il Bonaparte in persona, ormai più di due secoli fa, nel 1802, promulgò una legge che collocava la Chiesa francese sotto il controllo totale dello stato, e due anni più tardi obbligò il papa Pio VII (il suo predecessore, Pio VI, era stato costretto nel 1797, sempre da Napoleone, a trasferirsi forzatamente in Francia, dove morì tre anni dopo) a recarsi a Parigi per la sua incoronazione. Egli lo umiliò incoronandosi da sé ma questo fu solo l’inizio dell’atteggiamento ostile avuto dalla Francia imperialista napoleonica nei confronti del papato.
Qualche anno più tardi, nel 1809 con lo scopo di annettere alla Francia il territorio della Santa Sede, Napoleone decretò l’invasione di Roma e dei suoi territori con l’unica licenza concessa al papa di poter continuare a risiedere nella capitale ricevendo uno stipendio annuale di due milioni di franchi. Questa volta Pio VII decise di abbandonare la linea politica di cautela seguita fino a quel momento e poco dopo promulgò la bolla Quam memorandum, in cui, senza nominare espressamente Napoleone, scomunicava i ladri del patrimonio di San Pietro. Poi a Roma scoppiarono tumulti contro l’occupazione straniera, che i francesi si affrettarono a soffocare. Fu allora che Napoleone, indignato per essere stato scomunicato, ordinò l’arresto del pontefice (cosa che cercò di smentire in una lettera recentemente messa all’asta), che nel luglio dello stesso anno venne rapito nei suoi appartamenti al Quirinale e fatto prigioniero dalle truppe napoleoniche nelle cui mani restò per ben cinque anni, salvo poi rientrare trionfalmente a Roma nel 1814, anno della battaglia di Lipsia in cui Napoleone incassò una sonora sconfitta.
Le sfortunate vicende che attanagliarono Pio VII non si distaccano molto da quelle vissute da un altro papa, questa volta medievale, che, di carattere certamente più irruento, superbo e teocratico, fu però anche vittima di uno scontro acceso con i francesi. Bonifacio VIII, al secolo Benedetto Caetani, papa dal 1294 al 1303, ricordato soprattutto per essere stato considerato da Dante tra i suoi più acerrimi nemici, in quanto primo sostenitore dei guelfi neri, la fazione opposta del Sommo Poeta. Dante lo colloca tra i simoniaci, dedicandogli, di certo un po’ faziosamente, varie terzine infernali:
“Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?”
Inferno, Canto XIX, versi 52-57
La figura di Bonifacio VIII, il papa di Anagni, è legata all’immagine di uno dei pontefici più teocratici della storia della Chiesa, poiché si fece promotore di una idea di supremazia totale del potere papale su quello temporale: i re, gli imperatori, in quanto cristiani, devono sottomettersi all’unica autorità possibile e sacra, quella pontificia, rappresentante di Dio in terra. Questa visione del ruolo del papato si dialettizzò perfettamente nel rapporto contrastato con Filippo IV il Bello, re di Francia. Inizialmente i rapporti con la monarchia francese furono abbastanza buoni, ma quando Filippo IV cercò di rendere il suo potere nel regno più autonomo e indipendente dal Papato, dichiarandosi unico vicario di Cristo in Francia, volendo avere la facoltà di eleggere vescovi, di far giudicare il clero dai tribunali pubblici, di incassare i tributi della Chiesa anglicana impedendo che andassero a Roma, a quel punto i rapporti con la Santa Sede si incrinano in modo inarrestabile.
A seguito dell’emanazione del primo atto ufficiale di Bonifacio, la bolla Clericis Laicos del 1296, attraverso la quale vietava ai laici di imporre tasse al clero e ad esso di pagare i tributi richiesti, pena la scomunica in entrambi i casi, il re di Francia rispose emanando un decreto con il quale impediva la fuoriuscita dal regno di denaro e metalli preziosi, provvedimento che impedì a Roma la riscossione delle decime, danneggiandola quindi economicamente. Per evitare che la situazione potesse precipitare ulteriormente, il clero riuscì a convincere Bonifacio ad una tregua immediata, permettendo al sovrano di riscuotere le tasse anche dal clero, ma la pesante tassazione imposta portò uno scontro ormai inevitabile. Bonifacio VIII emanò la bolla Salvator Mundi, il 4 dicembre 1301, con la quale tolse tutti i privilegi concessi al re in precedenza, seguita il giorno successivo da un’altra bolla, la famosa Ausculta Fili, manifesto dottrinale della visione teocratica di Bonifacio VIII, che impose la convocazione di un sinodo, a cui sarebbe dovuto partecipare l’episcopato francese e lo stesso re a Roma, l’anno seguente. Questi due provvedimenti portarono una violenta reazione di Filippo il Bello, che rispose alle bolle di Bonifacio distruggendo i documenti e divulgando nel regno una versione alterata dell’Ausculta fili, intitolata Deum time (o Scire te volumus) dove viene distorto pesantemente il discorso del papa con lo scopo di scatenare un sentimento d’indignazione nei suoi confronti.
A quel punto, dopo che il re convocò per la prima volta gli Stati Generali in Francia per inviare una lettera di protesta al pontefice, Bonifacio VIII nel 1302 emanò la sua bolla più famosa, la Unam Sanctam, in cui proclamava una volta per tutte la supremazia della Chiesa e la possibilità di salvezza individuale solo se ci si assoggettava ad essa. Filippo il Bello decise di rischiare la scomunica e accusò ferocemente il papa di eresia, di sodomia, di simonia e dell’omicidio del suo predecessore Celestino V. Per poterlo mettere sotto processo serviva però la presenza dell’imputato, allora il consigliere di Stato francese Nogaret e Sciarra Colonna, esponente della famiglia nemica del pontefice, entrarono indisturbati ad Anagni, dove il Papa si era rifugiato. Penetrati nei suoi appartamenti, si narra che Sciarra Colonna colpì in volto il pontefice, episodio passato alla storia come lo “Schiaffo di Anagni”. Con Bonifacio VIII, che morì poco tempo dopo, terminarono le pretese universalistiche e teocratiche della Chiesa medievale, ma le ingerenze “laiche” sul Papato continuano, purtroppo, ancora oggi a sussistere.