Si recidevano i lacci ai piedi del Dio, se ne liberava la potenza, gli si offriva sacrificio. A quel punto Saturno, il Dio scomparso, insieme all’età dell’oro di cui era Re, poteva palesarsi di nuovo, in prossimità del solstizio di inverno, pilastro dell’anno. Con i Saturnalia si chiudeva un ciclo. Nello scandire il ritmo delle stagioni con il lavoro della terra, i romani festeggiavano così il periodo immediatamente successivo alla semina. E dopo aver lavorato, l’uomo riposava rivolgendo al Dio la preghiera perché la semina desse frutto. Si trattava di far morire il seme, con esso il sole – nel giorno del solstizio – e con esso l’anno. Era necessario che la comunità si desse al Kaòs, per permettere un nuovo inizio, la fondazione del rinnovato Kòsmos. Era necessario ricordare l’età primordiale, in cui la terra dava frutto senza chiedere in cambio fatica, in cui non vi era né conflitto né obbligo.
Durante la festa, i ruoli sociali erano aboliti, gli schiavi affrancati, i tribunali chiusi, il gioco d’azzardo permesso. Ci si scambiavano doni e regali mangerecci, come ci ricordano gli epigrammi di Marziale. La chiusura dei tribunali significava assenza di legge. Era consentita ogni licenza, agli schiavi come ai padroni. I primi riacquistavano, simbolicamente, la libertà, i secondi si travestivano da schiavi affrancati (la maschera) in un capovolgimento solo apparente, perché a riacquistare la libertà primordiale erano proprio i cittadini romani, che durante i Saturnalia si liberavano dagli schemi della vita civile e dai legami che questa pretendeva. Poi la potenza del Dio veniva nuovamente trattenuta, i lacci venivano riannodati e Saturno tornava a farsi ricordo di ciò che fu. L’anno poteva ricominciare nel segno di Giano, da cui gennaio prende il nome. il ciclo iniziava nuovamente, l’ordine era ricomposto.
Ancora, a febbraio, era la vota dei Lupercalia, la festa che con il Carnevale attuale ha in comune anche il periodo dell’anno. Cicerone ricorda che i Luperci erano i membri di “un sodalizio ferino, istituito prima della civiltà e delle leggi”. Roma assisteva un giorno all’anno alla loro corsa, lungo il pomerium e sulla Via Sacra, durante la quale schernivano i passanti e colpivano le donne con strisce di pelli di capra (le februae, da cui il nome del mese), donando loro fertilità. Ovidio riconduce questa abitudine al fatto che i Luperci altro non erano che i pastori di Romolo e Remo, che in un passato mitico si erano lanciati correndo nudi, insieme ai due gemelli, a recuperare del bestiame rubato dai razziatori mentre erano impegnati a sacrificare una capra a Fauno. Ed è a Fauno che i Lupercalia erano infine dedicati. Dio dalla natura ancestrale e incontrollabile, la sua presenza scandiva il febbraio romano come tempo di purificazione. Tanto da far pensare ai Lupercalia come alla testimonianza, offerta alla comunità, di un rito di iniziazione. Se L’anno nasceva a gennaio, a febbraio si faceva adolescente. I Luperci erano testimoni e protagonisti del passaggio alla età adulta: prima di entrarvi si davano a quella sfrontatezza che non sarebbe stata più possibile da uomini fatti. Nella corsa lungo la Via Sacra purificavano tutta la comunità. Marzo era alle porte, la primavera ricominciava, Roma poteva essere simbolicamente rifondata, la linea sacra ribadita. Che il Carnevale attuale mantenga traccia dei Saturnalia e dei Lupercalia romani lo si può sostenere a patto di dare per scontato il tentativo, continuo, di neutralizzare l’ essenza della festa, operata dalla modernità, oggi età del consumo. I romani sapevano che si festeggiava per rinnovare il legame tra gli uomini e Dei, tra il Cielo e la Terra, tra microcosmo e macrocosmo, unità che non conosce frattura.
Il Cristianesimo – con la rottura del legame ontologico tra l’uomo e il suo dio, di sostanza diversa – aprirà la strada alla secolarizzazione, che priverà di senso profondo la festa. O almeno ci proverà. Vi è una memoria ancestrale che riemerge, e il Carnevale – la più pagana delle feste – resiste al tentativo di farne un mero ballo in maschera, così come ha resistito per secoli all’idea che gli uomini si riunissero e si dessero alla ilarità più giocosa e libera solo per “carnes levare” prima della Quaresima. Si può così immaginare ancora oggi che, anche durante il nostro Carnevale, dei lacci vengano recisi, e degli uomini ritornino, anche solo per un giorno, ad essere fanciulli.