Ciao Alain Delon, il più sexy degli anticonformisti

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Se dici “polar” dici Alain Delon: forse non lo inventò lui quel genere cinematografico nato dalla crasi tra poliziesco (policier) e noir, ma fu lui a incarnarlo fino alla massima espressione. Fabriqué en France, naturellement.

I film polar con Alain Delon fanno parte di uno dei generi cinematografici più distintivi del cinema francese, caratterizzati da atmosfere noir, polizieschi a tinte fosche, drammatiche, a loro modo romantiche nel senso del Romanticismo francese, soprattutto quello che abbiamo visto in pittura.

Alain Delon è stato il principe di questo genere, con film immortali come “Frank Costello faccia d’angelo” (Le Samouraï, 1967) di Jean-Pierre Melville, uno dei film più iconici del genere dove Delon interpreta un killer professionista silenzioso e enigmatico che segue un rigido codice d’onore, “Il clan dei siciliani” (Le Clan des Siciliens, 1969) di Henri Verneuil, un classico polar dove Delon recita accanto ai miti Jean Gabin e Lino Ventura, “Borsalino” (1970) al fianco dell’amico/rivale Jean-Paul Belmondo.

E poi i film da lui stesso diretti, come lo splendido “Per la pelle di un poliziotto” (Pour la peau d’un flic, 1981) con quella bellissima Anne Parillaud che poi sarebbe stata la sua compagna nella vita, o l’enigmatico “Braccato” (Le battant, 1983), ancora insieme ad Anne Parillaud.

Lo diresse in “Tony Arzenta – Big Guns” il grande Duccio Tessari, autore di capolavori come “La morte risale a ieri sera” (1970) e “Una farfalla con le ali insanguinate” (1971), padre di quella Fiorenza Tessari che esordì con Dario Argento in “Phenomena”, in un indimenticato polar dove Alain Delon incarna magistralmente il personaggio di un sicario che si vendica contro i suoi ex capi.

Del resto, proprio in Italia Alin Delon trovò la consacrazione con Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli” e “Il Gattopardo”, Palma d’oro a Cannes nel 1963 e Michelangelo Antonioni (“L’eclisse”, 1962).

Più di 80 film come attore, 30 come produttore, due come regista: pensare che non nacque affatto sotto una buona stella, anzi.

Figlio del piccolo proprietario di un cinema di provincia e di una farmacista, venne abbandonato dai genitori divorziati ad appena quattro anni. Dato in affidamento, crebbe da giovane ribelle, costantemente punito a scuola, insofferente della disciplina e della nuova famiglia della madre in cui non si ritrovava.

A 17 anni si arruolò: paracadutista nella Marina Militare Francese.

Prima di diventare Alain Delon (“Divieni ciò che sei” – Nietzsche), fu un militare, ciò che ebbe un impatto significativo su di lui formandone quel carattere forte e silenzioso che poi avrebbe portato sullo schermo.

Fu un artista anticonformista, libero contro il piagnisteo del ben pensare un tanto al chilo: espresse in più occasioni simpatie per Marine Le Pen, riconoscendo la sua popolarità e il fatto che molti francesi si identificano nelle sue posizioni.

Pur non avendo mai dichiarato esplicitamente di votare per il Rassemblement National (RN), non aveva mai nascosto una pesante critica verso la classe politica tradizionale francese: l’avesse fatto in Italia, le prefiche del politicamente corretto lo avrebbero crocefisso.

Idem per le sue idee sulla società: le femministe lo accusarono di esprimere nei suoi film una “mascolinità tossica” e quando osò dichiarare di essere contrario all’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali le succitate femministe e i movimenti LGBTQ+ insorsero contro di lui.

Ma Alain Delon era (è) Alain Delon e loro, i dittatori del politicamente corretto, non potevano nulla contro il più forte e sexy degli anticonformisti, che si è spento oggi a 88 anni nella sua casa di Douchy con accanto i suoi figli e i suoi familiari.

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