La nuova città di Capaccioli, tra progresso e umanità

0

In copertina, davanti a uno skyline contemporaneo, due mani giocano coi fili di lana, in inglese “threads“. Viene subito in mente quello sconvolgente docu-film britannico del 1984 dall’omonimo titolo, sulla fragilità dei fili che tengono insieme la nostra società ma anche la loro incredibile complessità, cosa che spesso viene data per scontata da chi vive da ormai più di 80 anni in relativa pace e benessere in quest’angolo di mondo.

Il nuovo saggio di Fabrizio Capaccioli, “Urbano e umano. Ripensare le città per un equilibrio tra progresso e umanità” (Book Editors Group, pp. 116, € 14,90 o formato kindle € 6,90) analizza questi fili usando gli strumenti della sociologia urbana. A differenza del pessimismo nero del citato docufilm, quello di Capaccioli è un testo ottimista, che vede la luce e il bicchiere mezzo pieno delle città.

Fabrizio Capaccioli, “Urbano e umano. Ripensare le città per un equilibrio tra progresso e umanità” (Book Editors Group, pp. 116, € 14,90 o formato kindle € 6,90)

Lo fa da una posizione che rifiuta certi astrattismi postmodernisti, per i quali la narrazione è tutto e qualunque realtà immaginata può funzionare all’interno di una realtà reale basta applicarla con sufficiente forza (per intenderci, certi modelli di governance urbana oggi molto in voga: Non importa quanto certi provvedimenti siano odiosi o anti-umani, con la giusta quantità di repressione presto o tardi i sudditi si adatteranno). Ma il mondo là fuori è complesso, e Capaccioli invece vuol comprenderlo, sfruttando gli strumenti delle diverse discipline che si interrogano sull’uomo e il suo ambiente, accanto alla sociologia urbana: in particolare e per prima pour cause, Capaccioli cita la geografia, disciplina nei nostri giorni quanto mai dimenticata, perfino semi-cancellata dai programmi scolastici, ridotta a decorazione sullo sfondo nei servizi TV, ma che invece è uno dei due assi cartesiani – lo spazio – di qualunque indagine su ciò che riguarda l’uomo (l’altro è la storia, cioè lo scorrere degli eventi nel tempo).

Accanto alla geografia ovviamente non possono mancare gli approfondimenti sulla natura culturale dell’uomo: perché, sì, gli uomini sono diversi fra loro, e gli agglomerati di uomini (gruppi, clan, popoli, religioni…) sono differenti fra loro. Il dato etno-culturale è dunque indispensabile per comprendere i fenomeni umani, non potendo ridurre gli esseri umani a mere astrazioni (tipo l'”homo oeconomicus” che tanti danni ha fatto a tutto l’evo contemporaneo) intercambiabile, buono per tutte le stagioni e le latitudini. L’economia è dunque solo uno dei tanti strumenti, per riprendere la metafora iniziale uno dei tanti fili che costituiscono la ragnatela delle relazioni umane all’interno del contesto urbano.

C’è nel libro di Capaccioli, comunque, la consapevolezza che la complessità del fenomeno urbano espone chi lo analizza nella sua totalità al rischio di non riuscire ad avere una visione complessiva soddisfacente. Partendo dal riconoscimento di questo limite umano, è possibile realizzare modelli meno ambiziosi, più settoriali ma anche più precisi, con la premessa che essi non sono “la verità” ma solo un utile strumento il cui valore si misura incrociando i risultati con quelli di altri strumenti analoghi.

Alla parte analitica il libro aggiunge una serie di visioni complessive su dove possa arrivare lo spazio urbano, in un’ottica di sostenibilità (parola alquanto abusata nei nostri tempi, ma che va rivalutata nella sua corretta dimensione) e di gestione della complessità. Le città del presente dovranno diventare città del futuro (e no, non vuol dire “macchine volanti” come ci aspettavamo dai film di fantascienza del secolo scorso), partendo dal dato di base dell’essere umano che le abita. Alle ortiche dunque gli astrattismi che nel XX secolo hanno rinchiuso gli uomini in casermoni-alveare lecorbusiani, che con un approccio inverso pretendevano di ri-plasmare l’uomo utilizzando lo spazio urbano come stampo in cui bon gre mal gre esso si debba adattare. La nostra è un’epoca in cui le risorse – soprattutto intellettuali – consentono alle civiltà umane di costruirsi una città nuova attorno ai propri bisogni, senza devastare l’ambiente ma anzi vivendo in armonia con esso, consapevoli che l’uomo fa parte del suddetto ambiente. Le soluzioni sono diverse – Capaccioli è peraltro patron di una azienda leader nella certificazione delle buone pratiche, Asacert, che i lettori di CulturaIdentità ben conoscono grazie ai contributi che periodicamente pubblica – e lasciamo la curiosità di scoprirle leggendo il libro.

Tutti i dati indicano che i conglomerati urbani saranno i protagonisti della vita umana almeno in questo secolo. Possiamo dunque scegliere se lasciare che essi diventino caotici pollai, causa di cortisolo per chi vi abita – come polli in batteria sottoposti a stress continuo – oppure luoghi in cui provare a cercare soluzioni razionali, umane, non sradicate da cultura e identità dei suoi abitanti. Puntare alle utopie è almeno altrettanto pericoloso che lasciare che le cose vadano da sole. L’unica via è rimboccarsi le maniche e darsi da fare, partendo dal primo passo: studiare.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

2 × quattro =