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La domanda che tutti si stanno ponendo in questi giorni. Quanto Sanremo sia politico e fin dove questa caratteristica già ampiamente divisiva e fin troppo discussa può spingersi.
La stampa da sempre tiene a descrivere e far considerare Sanremo quale Festival di natura a-politica, ma la verità dei fatti e delle serate che tanto ci hanno accompagnato in questi 73 anni, sembra mostrare una realtà totalmente differente, soprattutto negli ultimi dieci anni.
A partire dai presentatori, per la maggior parte dei casi sempre pubblicamente schierati a sinistra, fino ai suoi ospiti. Possiamo dichiarare quanto la politica sia invece stata sempre presente ed influente.
Ma forse oggi il tema supera anche questo dubbio e volge la polemica ancora più in là. Zelensky a Sanremo. C’è la guerra, il popolo ucraino sta morendo e sta soffrendo sotto le bombe o al freddo senza luce e gas. L’Occidente discute e decide per l’invio delle armi e dei carri armati. Ma nel frattempo, nel frangente di questo buio e osceno palcoscenico di guerra, si accende invece il palco dell’Ariston. Tra lustrini, fiori e luci stroboscopiche ogni anno più sofisticate, Sanremo città e teatro diventano il luogo più ricco, elegante e raffinato d’Italia. Una cornice leggera e musicale che da 73 anni accompagna gli italiani vincendo ogni anno perfino le sue vivaci polemiche, perché alla fin fine “Sanremo è Sanremo” e l’Italia sa e di amarlo e di aspettarlo ad ogni febbraio.
E perciò alla luce di questa forse scanzonata ma corretta premessa e descrizione, la stessa Italia non può non domandarsi il perché della presenza di Zelensky in questa cornice di festa. La Ferragni, il marito e le nuove tecnologie forse non bastavano a bucare lo share delle 5 serate? Fin dove ci si può davvero spingere per arrivare a far parlare di sé e vincere share e prime pagine? C’è bisogno di portare la guerra all’Ariston per sensibilizzare il popolo italiano? O forse si tratta di una scusa ipocrita quella di agire nel bene di un fine ultimo superiore?
Domande certamente lecite che infiammano media e notizie. In effetti parte del lavoro forse lo stiamo già facendo noi anche solo scrivendo o leggendo questo articolo. Ma come si può ridurre tutto ad una cifra di visualizzazioni? Cosa potrà mai dire il Presidente ucraino nel suo intervento tra una canzone e un’altra o tra una battuta ed uno “stacchetto”? È già abbastanza contraddittorio invitare alle armi in nome della difesa della pace, farlo anche in un contesto di musica e paillettes a dir poco inspiegabile.
A raggiungere il picco massimo di ipocrisia ed incoerenza è poi la Fagnani, compagna di Enrico Mentana e co-conduttrice di una delle cinque serate, che in una delle molteplici interviste non si esprime sulla presenza di Zelensky, ma invita il partito di Fratelli d’Italia ad astenersi da commenti sul Festival perché “la politica deve rimanere al suo posto” e quindi “che si occupassero delle bollette”, dichiara proprio lei che mette la politica al primo posto.
Dov’è finita la cultura del rispetto e della discrezione e come e quando siamo finiti a non renderci conto del dramma che si consuma dietro la spettacolarizzazione di certi temi? Ormai senza distinzione alcuna tutto può e deve fare ascolti.
La guerra cessa così di essere orrore, ma diventa familiare, scontata ed inevitabile ed il teatro e l’arte, che tutto superano ed evadono, perdono così il gusto ed il valore di essere al di là di tutto e al di sopra di essa. In attesa che cali il sipario su questo solito teatrino auspichiamo un ritorno al quel nuovo immaginario simbolico di cui il nostro Belpaese ha davvero bisogno.
Per quanto vergognoso e disgustoso il festival, altrettanto si dovrebbe dire riguardo al busto-ricordo di un criminale fascista religiosamente conservato da una delle più alte cariche dello Stato. Ricordiamo ancora per coloro che hanno la memoria corta, che la Repubblica italiana si è costituita sui valori dell’ANTIFASCISMO!!!