Dante come un divino direttore d’orchestra

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[[File:Philip veit, paradiso, 1818-24, 08.jpg|Philip veit, paradiso, 1818-24, 08]]

L’Inferno è una polifonia convulsa di grida, il Paradiso è Suprema Armonia

Che la figura di Dante sia da intendersi non solo come quella di uno straordinario ingegno poetico, ma
anche come quella di un testimone acuto del proprio tempo, è dimostrato anche dai numerosi riferimenti alla musica di cui è disseminata tutta la Divina Commedia, che ce ne mostrano l’autore come profondamente partecipe delle dispute e delle innovazioni che l’ambiente musicale si trovava a vivere in quegli anni.

Nel Purgatorio, ad esempio, si descrive l’incontro col musico Casella: di costui si conosce pochissimo e se non fosse per il Sommo Poeta probabilmente nulla sapremmo di questa figura da Dante celebrata come protagonista di quelle nuove forme musicali, apparse nel quattordicesimo secolo, e denominate, in ossequio ad un trattato di Philippe De Vitry (Ars Nova musicae), Ars Nova, e che in Italia trovarono, non casualmente proprio nella città di Firenze, una particolare accoglienza. Basterebbe a certificare questa connessione la figura di Francesco Landini, compositore nato proprio nella città di Dante, e autore tra i più apprezzati dell’intero Medioevo, come dimostra la ballata a due voci “Ecco la Primavera” ancora oggi spesso eseguita dagli ensemble di Musica Antica. Le straordinarie innovazioni linguistiche e poetiche apportate da Dante furono, in qualche modo, quelle stesse che ritroviamo nelle forme musicali prevalenti della Ars Nova: mottetto, madrigale, caccia e ballata. Che Dante fosse un attento conoscitore delle opere musicali circolanti durante la sua epoca lo dimostra anche il riferimento al musico trobadorico francese Bertran de Born, collocato nella Commedia all’Inferno come “seminatore di scismi e discordie”, ma parallelamente lodato per le sue virtù artistiche nel De vulgari eloquentia; questa capacità di tener separate le sfere del giudizio sull’uomo da quelle sull’artista sarebbero ammirevoli anche in questi nostri tempi…

Se dunque questi riferimenti possono incuriosire, è laddove Dante utilizza la musica come metafora filosofica, simbolica di tutto il suo viaggio che possiamo apprezzare in tutta la sua potenza una opera ed un pensiero, per così dire, interamente innervati di musica e di filosofia dell’ascolto. Ed è qui che il Dante testimone della sua epoca si fa anche profeta e visionario. Rifacendosi al Platone del Timeo e soprattutto a Boezio, il quale aveva classificato in ordine decrescente di importanza tre tipologie di musica – mundana (l’armonia delle sfere e del cosmo), humana (l’armonia dell’essere umano) ed instrumentalis (l’unica musica propriamente detta secondo la concezione moderna) – Dante esprime in tutta la Divina Commedia la sua convinzione nel ritenere la musica come diretta espressione di un ordine proprio delle leggi dell’Universo. La sua opera poetica da questo punto di vista può essere letta come un viaggio trasformativo, dai tratti alchemici, da una Disarmonia disgregatrice e distruttrice ad una Armonia assoluta, che è compenetrazione col Tutto.

Non stupisce, dunque, che nel suo Inferno Dante non preveda alcuna musica oggi comunemente intesa, bensì una polifonia convulsiva e tormentata, fatta di grida e di lamenti. Tale forma di “anti-musica”, allora certamente inimmaginabile, sarebbe stata alla base di certi esperimenti atonali presenti nella Musica Contemporanea, ed all’interno delle controculture radicali del secolo passato avrebbe trovato accoglienza ed espressione in fenomeni come la musica industrial (col suo “suono-rumore” o “suono-verità”, teso a mostrare l’orrore della modernità della Terza Rivoluzione Industriale), e possiamo oggi immaginarla simile all’ammasso di grida e contraddizioni messo in atto dalla infodemia che ottunde le nostre facoltà percettive.

Per purificarsi da questa sovrastimolazione capace solo di generare apatia indotta occorrerebbe oggi come ieri il percorso descritto a più riprese da Dante nel Purgatorio, che prevede – letteralmente – una “intonazione” a sé stessi e alle altre anime attraverso il canto monodico (gregoriano). Questo vero e proprio esercizio di disciplina attraverso la musica, colto straordinariamente da Dante, rimanda effettivamente a quella ascensionalità strutturale di cui è capace il canto liturgico di matrice gregoriana, capace, nell’atto della sua espressione, di “ripulire” colui che lo sta intonando. Il potere del canto, di cui tutte le culture e tutte le costruzioni mitiche sono letteralmente imperniate, si basa su questo convincimento. Solo in tempi recentissimi tali intuizioni e sensibilità sono state confermate da studi condotti da otorinolaringoiatri, fisiologi e ricercatori, dai quali è effettivamente emerso come il canto carichi di energia il cervello, sollecitandone i processi cellulari.

Nella musica moderna il recupero di questa monodia è stato portato avanti dagli artefici del cosiddetto “minimalismo spirituale”, tra i quali va certamente nominato il compositore estone Arvo Pärt e le sue opere “tintinnabolari”. Questi canti liturgici non possono che risolversi nel Paradiso in una polifonia che è antitetica a quella descritta nell’Inferno, e che davvero rappresenta una unione, una compenetrazione con l’Assoluto che supera i confini di ogni comprensione e ricezione razionale. È questa una polifonia non fatta di parole, non fatta nemmeno di suoni convenzionali, eppure non è certo silenzio… Si tratta di un suono fatto di Armonia, un suono di Creazione, che rimanda alle grandi tradizioni cosmogoniche e descritto anche in un testo del mistico sufi Hazrat Inayat Khan, secondo cui “ogni anima diviene una nota musicale e tutta la vita musica”. Se l’atonalità come linguaggio prevalente della contemporaneità riportava alle disarmonie infernali, vi sono numerosi casi di musicisti interessati a ricollegarsi a questa componente primordiale e creatrice del Suono, come ad esempio il compositore italiano Giacinto Scelsi, una figura di “irregolare”, che solo oggi viene finalmente compresa. L’auspicio è che l’immaginazione e il mondo poetico di Dante – che anche in queste righe abbiamo dimostrato aprire squarci inimmaginati anche sulla riflessione relativa alle pratiche musicali – possa ancora condurci ad un ideale di Suprema Armonia, che solo rimettendoci in connessione con noi stessi e con l’Altro potremo di nuovo raggiungere. Questo è anche il sentiero che dovrà compiere la Musica

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