Passati insostenibili e omertà nel nuovo giallo di Domenico Wanderlingh

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L’ultima estate a Villa Domus (Guanda, 2025) di Domenico Wanderlingh parte da un incubo, terribile, in realtà la prosecuzione onirica di un dramma accaduto davvero, cioè quello di una mamma, la ricchissima industriale milanese Costanza Bernardini che, nonostante gli sforzi, non le riesce proprio (oggi come ieri) di salvare sua figlia Arianna, dodicenne realmente scomparsa anni prima, nel settembre del Duemila, durante una festa di compleanno.

Incapace, quasi immobile, a impedire della giovane la rovinosa caduta dall’alto promontorio, esattamente il punto in cui si trova la bellissima villa Domus, teatro di quei fatti ormai lontani, la donna pur dilaniata che abbiamo di fronte è tutt’altro che vinta. Sarà sua la volontà, in accordo con l’avvocato Francesco Gazzola, di rivedere le carte processuali, anche a costo di inimicarsi parte della famiglia, poiché il colpevole che allora venne individuato, frattanto morto in carcere, nelle lettere scritte a tutti i presenti in villa il giorno dell’omicidio, non ha mai smesso di dirsi innocente.

Inoltre, come se non bastasse, ha lasciato intendere che il nome del vero assassino sia scritto nel diario della piccola Arianna, nascosto chissà dove. Dall’altra parte, appena trasferitasi a Talamone con la figlia Alice di due anni e mezzo, la neopromossa commissaria Anita Landi, è alle prese con un caso inquietante, l’ennesimo. Di chi è quel corpo trovato esangue nel parco della Maremma, vicinissimo alla torre diroccata? Come ci è arrivato fin lì? E perché non è stato ancora identificato? Ora, l’una e l’altra indagine troveranno strade comuni, modi inaspettati per incrociarsi, e rispecchiarsi. Del resto, Anita e Francesco sono amici, si stimano. Entrambe le storie parlano di un passato insostenibile, di un mondo che a molti piacerebbe mantenere intatto, schiacciato nel silenzio e nell’omertà.

Le stesse ambientazioni, la Maremma e l’isola del Giglio, il dentro di una casa e il fuori di una radura a pochi passi dal mare, fanno di questo giallo tirrenico, fortemente identitario, sia per il carattere della natura che dei personaggi, una lettura intensa e insieme inquietante. È anche per questo motivo che il lettore, fin dalle prime battute, sente una specie di urgenza, qualcosa che ha a che fare con la dimensione del viaggio (interiore, innanzitutto). Senza dimenticare mai che i morti, diceva qualcuno, non pesano soltanto, ma sopravvivono. D’altronde, se si vuole fare i conti con sé stessi, sembra dirci l’autore, è più che mai necessario guardarne il volto ancora un momento, per poi lasciare che il destino si compia una volta per tutte

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