Giovenale, il poeta di Aquino che anticipò la stand-up comedy

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Un autore politicamente scorrettissimo, estremista “di destra”, populista, una linguaccia velenosa. Questo fu l’aquinate Giovenale, vissuto fra I e II secolo d.C. A ben vedere, potremmo dire che – asceso all’Eliseo col serto d’alloro dei poeti – può essere oggi considerato il Nume tutelare di quel genere di satira volgare, senza filtri e indiscriminatamente offensivo che è la stand-up comedy.

Giovenale era nato intorno al 55 d.C., ad Aquino, Città Identitaria della Ciociaria. La sua è una famiglia di modeste origini, forse di liberti arricchiti. Una biografia, quella di Giovenale, avvolta da molte incertezze biografiche, che si snoda tra la fine del regno di Nerone e l’apogeo della dinastia Flavia – con gli imperatori Vespasiano, Tito e Domiziano – e poi con gli Antonini fino a Traiano e Adriano. Roma, in quel periodo, era un crogiolo di contraddizioni: da un lato, l’Impero raggiungeva il massimo del suo splendore, con il Colosseo che sorgeva come simbolo di grandezza e le terme pubbliche che pullulavano di vita sociale; dall’altro, la corruzione, il clientelismo e le disuguaglianze sociali dilagavano, alimentando il malcontento di chi, come Giovenale, si sentiva escluso dai giochi di potere.

Il poeta, che pare abbia intrapreso tardi la carriera letteraria, visse in una Roma caotica, dove i ricchi patrizi ostentavano ricchezze sfrenate mentre i ceti inferiori, di cui probabilmente lo stesso Giovenale fa parte, arrancavano in condizioni precarie. Si dice che abbia lavorato come declamatore e avvocato minore, senza grande successo, prima di dedicarsi alla satira, un genere che gli permise di sfogare la sua indignazione verso una società che vedeva come moralmente corrotta. Le sue Satire, pubblicate in cinque libri tra il 100 e il 130 d.C. circa, sono un ritratto al vetriolo della sua epoca: descrive con sarcasmo i falsi moralisti, i parassiti sociali, i ricchi corrotti e gli stranieri che, secondo lui, stavano snaturando l’identità romana, le donne troppo emancipate e gli omosessuali.

Giovenale, in altre parole, oggi sarebbe all’indice, cacciato da tutti i circuiti mediatici mainstream se non direttamente osservato speciale della Digos…

La sua misoginia, per esempio, emerge con violenza nella Satira VI, un lungo poema dedicato alle donne, che dipinge come creature frivole, lussuriose, traditrici e incapaci di virtù. Le accusa di ogni vizio possibile – dall’adulterio all’avarizia, fino all’omicidio – in un catalogo di stereotipi (alquanto realistici…) che, se pubblicato oggi, scatenerebbe un’ondata di critiche sui social media, probabilmente con hashtag come #CancelGiovenale.

Non meno politicamente scorretta è la sua omofobia, evidente nella Satira II, dove attacca con disprezzo gli uomini che non rispettano i ruoli tradizionali, descrivendo con toni sprezzanti quelli che considera “effeminati” e accusandoli di ipocrisia morale, specialmente coloro che praticano “il vizietto” in segreto per fare poi i soloni in pubblico. Per Giovenale, la virilità romana era un ideale assoluto, e ogni deviazione da esso era un segno di decadenza. Parla anche già di “matrimoni” gay, come esempio di decadenza, affermando che, con l’andazzo della Roma dei suoi tempi, sarebbe bastato aspettare qualche altro anno e si sarebbero visti anche loro…

Immaginiamolo, Giovenale, mentre cammina per le strade affollate del Suburra, il quartiere popolare di Roma, con la sua toga logora e macchiata, i capelli radi e disordinati, lo sguardo accigliato di chi ha visto troppo. È un uomo amareggiato, che si sente tradito da una società che non premia il merito ma il servilismo. La sua voce, rauca e tagliente, si alza nei circoli letterari dove declama i suoi versi, suscitando risate ma anche disagio e sudori freddi tra chi si riconosce nei suoi attacchi. Se vivesse oggi, nel 2025, Giovenale sarebbe un autore scomodo, un intellettuale che, pur con il suo talento, verrebbe ostracizzato per le sue posizioni “retrograde” e intolleranti verso il “progresso”. Le sue parole, che già allora erano provocatorie, oggi risuonerebbero “irricevibili” in un’aula universitaria o in un dibattito pubblico, dominati dal wokeismo e dal perbenismo del politicamente corretto. Ma perfino in un’epoca in cui il wokeismo non era ancora stato inventato, la satira aveva i suoi rischi: degli ultimi anni di vita di Giovenale non si sa molto, ma un biografo (anonimo e di quattro secoli dopo, quindi chissà quanto attendibile…) racconta che il poeta sarebbe stato esiliato in Egitto per aver fatto satira del rapporto omosessuale fra l’imperatore Adriano e il suo amante, Antinoo. Allora come oggi, se vuoi sapere chi comanda, basta che guardi chi non puoi criticare...

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