Quelli che, non sapendo perdere, non sanno neppure vincere. Ammettere una sconfitta è difficile, difficilissimo. Per alcuni impossibile. Avere la consapevolezza che ci possa essere qualcuno più forte di noi, più preparato e perché no più fortunato, è una condizione utile ad affrontare una sconfitta, ma altrettanto per preparare una vittoria.
Giocatori, federazione e spettatori che, nell’ordine, si sono tolti la medaglia dal collo e hanno lasciato lo stadio di Wembley, senza attendere la premiazione degli azzurri, hanno dimostrato in questo atto il perché della loro sconfitta.
La condizione di essere imbattibili non esiste, ma se ne hai certezza, è da li che comincia la tua sconfitta.
Che diversità di atteggiamento tra Luis Erinque e Gareth Southgate. Il primo, che ha vinto tutto durante la sua carriera, è stato piegato dalla vita, ma si è rialzato e ha saputo applaudire chi lo ha sconfitto anche se non troppo meritatamente. Il secondo non è stato capace di mostrare, al proprio paese e alla propria squadra, che ai vincitori va tributato il plauso oltre che l’oro.
Italiani e spagnoli hanno dato lezioni di stile agli inglesi: è questo, al di là di vincitori e vinti, quel che rimane, oltre alle immagini di festa, nella mente di chi si soffermerà in una lettura capace di andare oltre ai fattori tecnici calcistici di questo Europeo.
Roberto Mancini è il CT che ha insegnato a una squadra intera ad usare il noi invece che l’io, a coniugare gli altri a se stessi e viceversa. Ma non a parole, ma con i fatti.
Ne è stato capace, anche grazie al fatto che dallo stesso stadio, quasi 30 anni fa, con i colori blucerchiati, insieme a molti del suo staff, ne era uscito sconfitto. Bisogna, dunque, saper perdere se vuoi cominciare a vincere.