I balestrieri della Repubblica di Genova

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Di Jean Froissart - From Chapter CXXIX of Jean Froissart Chronicles, maisonstclaire.org Pubblico dominio, commons.wikimedia.org

Per quasi tutto il Medioevo e per buona parte dell’epoca moderna la Repubblica di Genova si distinse non soltanto nella tradizionale pratica dei commerci o in quella finanziaria, ma anche nel settore militare. In più di un’occasione, nel corso della sua lunga storia, Genova si occupò della tutela dei suoi possedimenti o fortune attraverso la messa a punto di flotte da guerra o l’arruolamento di milizie destinate a presidiare il territorio della madrepatria o le sue colonie e fondaci, ed ebbe anche l’accortezza di fornire ai propri alleati, in diverse occasioni, consistenti aliquote di forze di mare e di terra.

Nella fattispecie, tra il XII e il XIV secolo, la Repubblica, o gruppi di Genovesi in esilio, misero a disposizione di comuni, potentati o corone straniere diversi contingenti di armati appartenenti ad una speciale categoria, quella dei balestrieri.

Il primo impiego mercenario dei balestrieri della Repubblica risale al 1173 quando, in seguito alla firma di un accordo militare tra il Marchesato di Gavi e Genova, la città di San Giorgio si impegnò, in caso di necessità, a fornire dietro pagamento all’alleato un certo numero di abili balestrieri.

Tuttavia, il primo, consistente utilizzo da parte di una «potenza» straniera di questi armati risale a più di un secolo più tardi, nel 1225, quando la città di Asti ottenne dalla Superba «per un mese di servizio» cento balestrieri appiedati e venti a cavallo da impiegare contro la vicina città di Alessandria.

Ma cerchiamo di capire perché proprio a Genova la balestra, intesa come strumento da difesa e da attacco, fece presa al punto da diventare un’arma addirittura nazionale, molto apprezzata per le sue caratteristiche e destinata a rappresentare, dopo la galea, il simbolo distintivo della forza militare della Repubblica.

Innanzitutto, bisogna subito chiarire che la balestra in origine non era un’arma di tradizione genovese, essendo stata scoperta ed importata dal Medio Oriente verso la metà del 900 dopo Cristo, dove a loro volta gli Arabi l’avevano introdotta dalla lontana Cina, sua vera patria di origine.

L’invenzione della balestra risale ad epoche molto remote. Basti pensare che già nel 500 avanti Cristo lo stratega cinese Sun Tzu ne parlava diffusamente, ed entusiasticamente, nel suo ormai famoso trattato L’Arte della Guerra. L’arma venne infatti usata dall’esercito imperiale cinese, con notevoli risultati, in occasione dei lunghi conflitti da esso ingaggiati contro i Mongoli e contro gli Arabi. Per molti secoli i Cinesi rimasero fedeli a quest’arma tanto da farne uso fino ad epoche molto recenti. Uno speciale modello di balestra a ripetizione (cioè dotata di serbatoio per dardi e di sistema meccanico di ricarica) venne adoperato addirittura nel corso della guerra contro il Giappone del 1894-1895.

Ma ritorniamo alla balestra ligure. Verso la fine del 1100, dopo un relativamente lungo periodo di generalizzato ma incostante e non disciplinato utilizzo dell’arma da parte delle fanterie della Repubblica, il comando militare della Superba decise di costituire un vero e proprio corpo di armigeri scelti destinato, in caso di conflitto, a precisi compiti tattici. Nel giro di pochi anni si sviluppò quindi il nucleo di quella che sarebbe diventata la punta di diamante dell’esercito di San Giorgio.

I balestrieri, detti «balistari», vennero suddivisi in compagini chiamate bandiere, composte ciascuna da venti uomini e comandate da un conestabile. Per l’arruolamento e il successivo addestramento della truppa, la Repubblica, dietro specifica ordinanza del Doge e dell’Ufficio della Guerra, incaricava due nobili esperti d’arme ai quali spettava il compito di valutare non soltanto la prestanza fisica e il coraggio degli uomini ma anche la loro propensione naturale all’uso di un’arma che presupponeva saldezza di nervi, colpo d’occhio e precisione (la preferenza cadeva, ovviamente, su coloro i quali palesavano dimestichezza con le armi da lancio, come l’arco e la fionda). Dopo l’arruolamento, ad ogni uomo, che doveva giurare fedeltà alla Repubblica e che era costretto a farsi rappresentare da un garante, veniva consegnato, in anticipo, un salario che variava a seconda della mansione e del grado (il conestabile percepiva una somma doppia a quella del balestriere semplice). L’ingaggio del milite era solitamente a termine e variava dai tre ai sei mesi. E se in questo periodo il balestriere disertava o si rifiutava di svolgere il suo lavoro a rimetterci era il garante che doveva rifondere lo stipendio al governo, pena il carcere.

La balestra a staffa genovese

Il modello di balestra più frequentemente adoperata dalle milizie genovesi era quella cosiddetta «a staffa» che si differenziava sia dalla più piccola e leggera arma cinese che da quella, più grossa, cosiddetta «da posta», cioè da difesa statica. Nel corso degli anni, la balestra genovese venne sottoposta a diverse modifiche e perfezionamenti tecnici che alla fine la trasformarono in un’arma da fanteria veramente efficace e originale.

La costruzione delle balestre a staffa veniva affidata ad artigiani armaioli specializzati che, a partire dal 1275, vennero riuniti in un’apposita corporazione. La produzione di quest’arma, pesante circa sei chilogrammi, era molto accurata e sottoposta ad un rigido controllo tecnico e qualitativo da parte delle autorità.

La balestra a staffa era formata da un fusto, solitamente in faggio o rovere (e per certi modelli pregiati in tasso italiano), da un arco inizialmente in legno – rinforzato talvolta da ossa o corna bovine e, in seguito, in ferro forgiato –, da una corda fatta di intreccio di canapa o legamenti di animale e da una staffa in ferro collocata sulla cima esterna dell’arco che serviva per tenere ferma la balestra a terra durante l’operazione di caricamento dell’arma. Il tipico munizionamento della balestra era composto da robusti quadrelli a punta piramidale o da più leggeri verrettoni a punta conica. Entrambi i proiettili erano costruiti da un’apposita confraternita di artigiani chiamati «quarellari».

La balestra genovese surclassava per gittata – e soprattutto per forza di penetrazione, poiché era capace di sfondare con facilità l’armatura di un cavaliere o di trapassare da parte a parte un cavallo – l’arco, anche se quest’ultimo risultava ovviamente più agevole da ricaricare. Un arciere professionista era infatti in grado di scagliare mediamente 5/6 frecce al minuto contro un solo quadrello o verrettone della balestra. In condizioni ottimali di vento quest’ultima aveva una gittata massima di 350-400 metri contro i 250-300 dell’arco.

Insomma, fino dalla sua comparsa, la balestra a staffa si dimostrò un marchingegno di morte decisamente efficace e tale da essere addirittura bandito dalle più alte autorità religiose. Durante i lavori del Concilio Laterano del 1139, Papa Innocenzo II la definì «arma infernale e sconveniente per i Cristiani». Ma ciononostante l’arma raccolse molto presto il consenso di diverse potenze europee che iniziarono a contattare la Repubblica per garantirsi l’appoggio dei balestrieri liguri nelle file dei loro eserciti impegnati in guerra.

Di F l a n k e r – The Department of History, United States Military Academy, Pubblico dominio, commons.wikimedia.org

Per quasi tutto il periodo medioevale, dunque, la balestra genovese svolse un ruolo di primo piano in molte dispute belliche, rivelandosi una delle migliori, se non la migliore, arma da getto per fanteria. Si può quindi parlare di un lungo predominio che ebbe termine soltanto con l’avvento in Europa delle prime armi da fuoco portatili (metà del XIV secolo), anche se, paradossalmente, fu però un’arma ben più antica – l’arco – a segnare il tramonto della balestra ligure nel corso di un particolare evento bellico della Guerra dei Cento Anni, la battaglia di Crécy (1346).

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