Il romanticismo di un viaggio a piedi in un tratto di Calabria

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Foto di Argentino Becci da Pixabay

Scoprire la Calabria e se stessi grazie al trekking: ne parliamo con Domenico Calopresti

La magia del viaggio, in questo caso un viaggio che ripercorre antiche tracce, antichi modi di viaggiare in una Calabria ancora attuale. Come nasce l’idea, così romantica, di percorrere a piedi, in solitaria, il “Sentiero dell’Inglese”, un tratto della nostra regione?

Il sentiero dell’inglese si ispira al Diario di un viaggio a piedi relativo al viaggio dell’inglese Edward Lear nel 1847 nella provincia di Reggio Calabria. L’autore, tipo eccentrico e versatile, riuscì a dipingere una immagine della Calabria piena di fascino e, nello stesso tempo, senza veli. Ricordiamo che in quel periodo numerosi viaggiatori stranieri, soprattutto inglesi, visitavano la Calabria desiderosi sia di conoscere i luoghi in cui era fiorita la civiltà della Magna Grecia sia, nello stesso tempo, di conoscere posti e genti così diverse. Lear, poi, rimase profondamente colpito da questo angolo di Italia ed è celebre la sua frase: “Il nome Calabria in sé stesso ha non poco di romantico. Nessun’altra provincia del Regno di Napoli stimola tale interesse o ispira tanto ancor prima di avervi messo piede”

Come si articola il sentiero, in quali tappe? E perché farlo?

Il sentiero inizia da Pentedattilo e procede verso Bagaladi, San Lorenzo, Amendolea, Gallicianò, Bova, anello di Monte Grosso con punto panoramico su Roghudi Vecchio, Palizzi, Pietrapennata, monte Cerasia, Staiti. È un viaggio nell’area “grecanica” o “bovesia” dove vi è la minoranza linguistica ellenofona di Calabria. La storia e la cultura di questi posti sono un motivo valido, unito alla bellezza ancora selvaggia dei posti e dei panorami per intraprendere questo viaggio. I piccoli paesi grecanici fatti in gran parte di case “all’antica” con un solo piano, abbarbicate sulle rocce, le strade irte e tortuose delimitate da muri a secco, le rocce scoscese che caratterizzano il sentiero che procede tra fichi d’india e capre che sfidano la forza di gravità, i panorami mozzafiato suscitano emozioni che non è facile descrivere. Io posso solo tentare di descrivere le mie. Ho la sensazione di un viaggio attraverso il tempo alla conoscenza delle proprie radici collettive e di sé stessi; una frase a volte abusata ma che, invece, ha veramente valore in questo viaggio. Camminando pensi che quei posti hanno visto popolazioni provenire da mare, insediarsi, fiorire grandi civiltà e tante nostre usanze o parole sono il retaggio di questa storia. Ma ancora di più si avverte il senso di appartenenza ad una realtà che nelle sue semplici quotidianità difende con forza la propria cultura da ogni tentativo di assimilazione e omologazione. Anche l’ottimo cibo, i maccheroni fatti in casa o il sugo di capra, sono a mio avviso una affermazione di identità.

Non è possibile fare la stessa esperienza recandosi semplicemente a visitare tali paesi senza la necessità di uno spostamento a piedi con i disagi, e anche i rischi, che lo stesso comporta?

Il fatto stesso di camminare in una epoca in cui la distanza, di fatto è stata annullata (oggi possiamo spostarci velocemente o comunicare con ogni angolo del mondo) ed in cui a volte concetti come il tempo o lo spazio perdono di significato, è un ritorno ad una idea di “cammino” non solo come progressione da un luogo ad un altro ma come “cammino di vita” e ritorno ad una realtà di ieri, alla nostra realtà, in cui il tempo che trascorre lentamente tra un passo e quello successivo viene dedicato alla comprensione di ciò che ci circonda ed alle vere motivazioni che muovono le nostre azioni. E’ tempo che dedichiamo a noi stessi.

Cosa ti ha colpito di più delle persone che hai incontrato in questo viaggio?

Il senso di ospitalità e la spontaneità nei rapporti sociali; non è mai successo che non mi sia sentito a casa ed a mio agio.

Come è la notte nella montagna?

La notte in montagna è dominata dal silenzio, di tanto in tanto interrotto dai versi degli animali e del bosco. Ma lo stesso silenzio si ascolta e, paradossalmente, fa tanto rumore nel senso che amplifica le nostre sensazioni, i pensieri e dimensioni del nostro essere che vengono sopite dal frenetismo della vita moderna.

Come ci si avvicina a tale esperienza?

Non ci si può improvvisare; è un messaggio doveroso che va lanciato. Ci sono esperienze e conoscenze che devono prima maturare. In ogni caso è fondamentale l’atteggiamento di base da tenere: quello dell’umiltà. Non bisogna mai dimenticare che la montagna va rispettata e bisogna saperne cogliere i messaggi. Per quanto il lavoro di preparazione e studio di un sentiero possa, e debba, essere meticoloso poi sul campo ogni intento deve essere raffrontato con la realtà concreta che ci si pone davanti e con le condizioni che dobbiamo affrontare ed alle quali, per forza di cosa, adattarci.

Il rapporto con sé stessi muta in queste esperienze?

Posso dire che, e mi rifaccio al pensiero greco, impari a conoscere te stesso. L’impegno, sia mentale che fisico, può essere notevole. In questi casi devi ascoltare il tuo corpo, conoscere le tue possibilità e i tuoi limiti e valorizzarle e rispettarli. Proprio per questo dicevo prima che ogni progetto deve essere adattato sul campo. Alla fine sei solo un uomo e in quelle montagne, in quei boschi, nella natura in genere siamo solo ospiti.

Un’ultima domanda, abbiamo parlato di emozioni; quale è stata l’emozione più forte?

Il senso di Libertà!

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