4 novembre, oggi è la Giornata delle Forze Armate, ma fino agli anni Settanta dello scorso secolo era – più correttamente – “la Vittoria”. Una vittoria alla quale contribuì con il suo “vivere inimitabile” Gabriele d’Annunzio, vulcanico ideatore di imprese. Il Poeta-Soldato sapeva che con l’azione avrebbe creato quell’epos necessario alle truppe e al popolo coinvolto nella guerra totale contro l’Austria-Ungheria. Tra le varie imprese che portarono il Vate a diventare “il poeta soldato” dai voli su Trento e Trieste (dove nel 1916 perse anche un occhio in un atterraggio forzato) e, ovviamente, la Beffa di Buccari e volo su Vienna del 1918 sono le due azioni d’annunziane ad aver dato vita a una massima, nonché regola di vita, del Vate: “vivere ardendo e non bruciarsi mai”. [Red.]
“VIENNESI! Imparate a conoscere gli Italiani. Noi voliamo su Vienna, potremmo lanciare bombe a tonnellate. Non vi lanciamo che un saluto a tre colori: i tre colori della libertà. Noi Italiani non facciamo la guerra ai bambini, ai vecchi, alle donne. Noi facciamo la guerra al vostro governo nemico delle libertà nazionali, al vostro cieco testardo crudele governo che non sa darvi né pace né pane, e vi nutre d’odio e d’illusioni. VIENNESI! Voi avete fama di essere intelligenti. Ma perché vi siete messi l’uniforme prussiana? Ormai, lo vedete, tutto il mondo s’è volto contro di voi. Volete continuare la guerra? Continuatela, è il vostro suicidio. Che sperate? La vittoria decisiva promessavi dai Generali Prussiani? La loro vittoria decisiva è come il pane dell’Ucraina: si muore aspettandola. POPOLO DI VIENNA, pensa ai tuoi casi. Svegliati! VIVA LA LIBERTÀ! VIVA L’ITALIA! VIVA L’INTESA!”.
Erano queste le parole riportate sulle centinaia di migliaia di volantini tricolore lanciati durante il famoso volo su Vienna realizzato da d’Annunzio e che lo portò a ricevere la medaglia d’oro.
Un volo che aveva ideato sin dal 1915, ma che, per via di diversi impedimenti, si era sempre trovato nell’impossibilità di realizzare, soprattutto per il fatto che i comandi ritenevano che un volo di 1.000 chilometri, di cui 800 su territorio nemico, con i mezzi del tempo, non fosse possibile.
Il 9 agosto 1918, superata ogni obbiezione e dopo una revisione dettagliata degli aerei assegnatigli, con 8 ricognitori SVA (Savoia – Verduzio – Ansaldo) della squadriglia “La Serenissima”, d’Annunzio poté finalmente volare su Vienna. Gli apparecchi erano veloci e, finalmente, dotati di grande autonomia.
Non fu un’impresa semplice, dal momento che i velivoli si trovarono ad affrontare difficoltà atmosferiche notevoli; vicino Vienna si abbassarono a meno di 800 metri, iniziando a lanciare non bombe, bensì i volantini tricolore.
Un’impresa che conferma il soprannome di “poeta soldato” che fu attribuito al Vate, proprio per il suo spirito indomito e la sua anima ribelle. Caratteristiche che trovano la sintesi perfetta in alcune massime del poeta come “memento audere semper“.
Una regola di vita che il poeta soldato applicherà in tutte le sue imprese, soprattutto in quella considerata la più eroica e rischiosa, che aveva preceduto il Volo su Vienna: la “Beffa di Buccari” avvenuta nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918.
Infliggere un colpo grave alla Marina austroungarica, era questo l’obiettivo di d’Annunzio, visto che, dall’inizio del conflitto, era mancato lo scontro decisivo con quella italiana. C’erano poi motivi di propaganda: l’Italia aveva arrestato l’offensiva austrotedesca che da Caporetto aveva divorato mezzo Veneto. I nemici erano stati fermati sul Piave nel novembre del 1917, ma il rischio di un’altra “spallata” era presente. Le truppe avevano bisogno di risultati concreti per riprendere coraggio. D’Annunzio gliene fornì con l’impresa di Buccari.
Un’impresa in cui le navi austroungariche, protette efficacemente dalle reti anti-siluro, non riportarono alcun danno materiale e, per questo motivo, dal punto di vista tattico-operativo, l’azione del Vate fu del tutto irrilevante. Nonostante questo, però, il risultato ottenuto e cercato fu soprattutto dimostrativo-propagandistico.
Infatti, la presenza di D’Annunzio nell’impresa era stata studiata e preventivata proprio per conseguire questo obiettivo, scegliendo un porto con scarsa difesa e senza unità da guerra nemiche, la cui presenza avrebbe alzato il livello di guardia del porto. Un’azione che portò il nemico a nuovi adattamenti difensivi e di vigilanza e che riscosse un’influenza negativa sul morale austriaco. Tutt’altra storia avvenne in Italia, dove l’impresa di Buccari ebbe un forte impatto motivazionale. Non per nulla, anche in questo caso, non mancò il messaggio del poeta soldato, lasciato nelle tre bottiglie.
Parole che ebbero grande diffusione e che contribuirono a risollevare il morale dell’esercito impegnato sul Piave.
«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d’Italia, che si ridono d’ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l’inosabile. E un buon compagno, ben noto – il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro – è venuto con loro a beffarsi della taglia».
Un’umiliazione che spinse la Marina Imperiale-e-regia a tentare quella sortita che nel giugno 1918 la espose ai siluri micidiali di un altro eroe italiano, Luigi Rizzo, detto “L’Affondatore”, subendo un colpo micidiale (l’affondamento di una corazzata) proprio alla vigilia della Battaglia del Solstizio che avrebbe deciso le sorti della guerra sul nostro fronte. In favore dell’Italia.