Il Cunto de li Cunti (Il Racconto dei Racconti) di Giambattista Basile (1566-1632) è la più ricca e antica raccolta di fiabe, scritta in napoletano, che l’Italia possiede. Pubblicato nel 1634, è anche chiamato Pentamerone, in quanto composto da cinquanta fiabe raccontate da dieci novellatrici in cinque giorni.
L’importanza del Cunto è data anche dal fatto che ci fornisce uno spaccato importante della società barocca napoletana, in cui eroi, ma soprattutto eroine (i personaggi principali sono quasi tutti femminili, proprio perché veniva data una grande importanza alla figura della donna nelle corti seicentesche napoletane), combattono per la libertà, per la rivalsa sociale e anche per la maternità. Le fiabe del Cunto hanno avuto moltissimi adattamenti cinematografici e letterari, soprattutto “La Gatta Cenerentola”, che è la sesta della prima giornata e tra le più famose della raccolta.
Esisteva già un racconto tramandato fin dall’antichità in tutti i continenti e in centinaia di versioni, ma la versione di Basile è ripresa da Charles Perrrault (Cendrillon), su cui si basa anche il classico Disney “Cenerentola”, dai fratelli Grimm e da Roberto De Simone con l’opera teatrale omonima. GiamBattista Basile ne La Gatta Cenerentola fa emergere tantissime curiosità della cucina popolare del tempo: polpette, maccheroni, casatielli e pastiere.
Si, perché proprio nella fiaba più famosa del Cunto, La Gatta Cenerentola, descrive il banchetto dato dal re per ritrovare la fanciulla che aveva perso la pianella (scarpetta) sulle scale del Palazzo reale: «E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato.» Una delle prime citazioni della pastiera napoletana è quindi nella versione seicentesca della fiaba di Cenerentola. La ricetta della pastiera è molto conosciuta, ma non tutti sanno che nel seicento, l’epoca del Cunto, venita preparata con ingredienti diversi rispetto a quelli utilizzati oggi. Antonio Latini scrisse ne “Lo scalco alla moderna”, pubblicato a Napoli nel 1693, il procedimento esatto di questo dolce di grano. Egli lavorò a Napoli, al servizio di Esteban Carillo y Salsedo, primo ministro del viceré Francisco de Bonavides, e qui ne apprese la ricetta: tra i vari ingredienti spiccano pepe, sale, pistacchi in acqua rosa muschiata, latte di pistacchi e pasta di marzapane e“vi aggiungerai oncie otto di Cacio Parmiggiano grattato, una libbra di ricotta di pecora”. Anche Ippolito Cavalcanti nel 1837, nella “Cucina teorica – pratica”, scrive una ricetta molto simile a quella di oggi, ma con la variante “rusteca” ottenuta aggiungendo la provola grattata. È consuetudine napoletana preparare la pastiera, dolce tipicamente pasquale, il giorno dell’Epifania a memoria della “Pasqua Epifania”: era tradizione del popolo, per ricordare la pasqua (il passaggio) dei re magi e l’epifania del Signore (epifania=colui che si mostra al mondo), preparare la pastiera anche in questa occasione (il termine “pasqua” veniva associato alla Pasqua di Resurrezione)