La rivolta di Reggio Calabria, la verità fuori dalle ideologie

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Rivolte. I fermenti nazionalpopolari da Avola a Reggio Calabria. (Eclettica, pagg. 246, 18 euro) di Alessandro Amorese è la storia dell’Italia profonda: fatta di rivolte, sassate, rancori, spontaneismo, dialetto e sudore. Una storia che si legge a partire dal Sud e lì, drammaticamente, rimane. Come a Reggio Calabria, piazza che cinquant’anni fa ha preso parte alla più lunga rivolta urbana in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi. 

Esplosa perché Catanzaro divenne capoluogo di Regione al posto della Città dello Stretto? Una lettura tanto banalizzante quanto sconcertante. Il tentativo di classificare come campanilistico un malcontento che covava da tempo e che Pci, Psi e sigle sindacali di sinistra non capirono mai, né prima né dopo, pesa tantissimo sulla coscienza di questa Nazione. Quanto la richiesta di una durissima repressione sul campo. Che arrivò, assieme ai carri armati. L’Msi e la Cisnal ebbero un orecchio assai diverso, più attento e partecipe. Derubricare tuttavia come fascista un moto così vasto e spontaneo non solo non aiuta la comprensione dei fatti, ma li distorce artatamente. Per poi umiliarli. 

Stessa cosa quando si è tentato, o si tenta ancora, di tirare in gioco il ruolo della Santa (la ‘ndrangheta, cioè) tra le barricate. Chi ne mastica di criminalità organizzata, sa perfettamente che i sodalizi mafiosi sono per eccellenza conservatori, parassitari e amanti dell’ordine pubblico. Sono per il sistema, giammai per i movimenti di liberazione popolare. Lo sono alla stessa stregua di un virus che si fa furbo e che non vorrebbe mai che il corpo infettato venisse a morire. Né tanto meno a guarire.   

La rivolta di Reggio Calabria, la verità fuori dalle ideologie

Quando accadde a Reggio, ma anche ad Avola, Caserta, Pescara, l’Aquila e Battipaglia, va letto con altre lenti. Fuori dalle ideologie. Ma con gli strumenti canonici della ricerca: giornali di allora, le carte di archivio e le voci dei protagonisti. Amorese si è mosso in questa direzione, mettendo assieme i fatti e legandoli tra loro con occhio libero da malizie. 

Rivolta non è la rivoluzione. Uno schema differente che vale uno scarto sostanziale. Lo sottolinea il giornalista Angelo Mellone, che ha firmato la prefazione: «La rivolta non ne possiede l’alterigia ideologica e la pomposità intellettuale. La rivoluzione è un evento programmato, scandito, teorizzato e in teoria gestito da una classe dirigente che razionalmente stabilisce di sovvertire un ordine costituito per crearne un altro. La rivolta, invece, è una ribellione spontanea, disorganica, quasi umorale. La rivolta è un sommovimento popolare che non ha la buona creanza di presentarsi prima di scoppiare, magari su qualche rivista intellettuale». 

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