Chi c’è dietro il bersaglio. Arco e frecce per mirare in alto

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Per sua natura, ogni disciplina marziale porta con sé una dose di mistero. Non si tratta – sarebbe facile immaginarlo – di segreti mirabolanti, o di pratiche esoteriche rivolte a iniziati, bensì di qualcosa di ben più semplice, e proprio per questo ancor più indefinibile per chi non abbia mai mosso un passo sulla via del Guerriero.

Sollevare un’arma non è sempre necessariamente un atto primitivo, lo sfogo di una pulsione violenta. Ancora meno se ad essere impugnato e teso è un arco.

Mistico già nella sua curvatura che unisce forza e bellezza, intagliato nell’osso oppure in lega di titanio, esso è infatti icona millenaria che ha impresso un marchio indelebile tanto nell’immaginario quanto nell’arte e nella letteratura. Un esempio valga per tutti: l’arco di Ulisse, che lui solo può tendere in segno di virtù e consacrata giustizia.

Impossibile, quindi, ridurre un simile strumento al mero ruolo di arma: il rigore che impone il suo utilizzo, la silenziosa disciplina a cui si dedicano tanto il cacciatore quanto l’arciere che punta a un bersaglio sportivo, inducono inevitabilmente ad elevarlo a oggetto metafisico, allegoria spirituale della ricerca di perfezione.

Questo, in sintesi, il fulcro del nuovo volume edito da Passaggio al Bosco Edizioni, e frutto della penna di Giacomo Maria Prati, intitolato “L’Arco e la Freccia. Metafisica del tiro al bersaglio” (2020, 142 pg., 10 Euro).

Un lungo viaggio che attraversa le dimensioni non solo dell’arte del tiro, ma anche del folklore, della religiosità e del Mito, in cui l’arco si impone come una sorta di sintesi armonica tra mondo dell’azione e silenzio interiore. Una modalità che è facile abbinare a un certo modo di sentire tipicamente orientale.

Un testo complesso quindi, ma che proprio per la ricchezza di spunti che propone capace di intercettare quella platea di lettori interessati a cogliere aspetti diversi della filosofia sottesa all’uso dell’arco. Arricchito da illustrazioni, dialoghi e da un saggio curato dall’Accademia Romana Placido Pracesi (dove si pratica il Kyudo, l’antica via dell’arco di tradizione giapponese), il libro di Prati si propone dunque come un ottimo compendio del fascino e della spiritualità che ancora può offrirsi a chi si metta in spalla una faretra, e inizi con coraggio a mirare a sé stesso.

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