“Stiamo tornando al Medioevo”. Da un po’ di anni questo è uno dei tanti moniti diffusi tra il circolo politicamente corretto dei benpensanti. E per un certo verso è vero. Siamo tornati al “Medioevo”, ma non per le ragioni che costoro vorrebbero farci credere; non è per via degli analfabeti funzionali, (troppo spesso strumentalizzati dal qualunquismo del dibattito pubblico) o dei populisti, figli di un momento storico in cui le istituzioni politiche sono lontanissime dai bisogni reali dei cittadini.
I molti accusano questi ultimi di non guardare al “progresso”, salvo poi loro stessi ignorare totalmente il reale significato di questa parola. Viviamo in un’epoca affranta più che mai dalla barbarie nichilistica, in cui l’avanzamento tecnologico e scientifico vengono elevati ad unici e indiscutibili parametri di misurazione del “progresso” e del benessere di una società e dove la mancanza di riferimenti culturali, valoriali e affettivi lasciano posto al disorientamento generale.
A poco più di un anno dall’inizio della crisi pandemica, lo scenario che si prospetta per i mesi a venire rimane del tutto incerto; neanche la taumaturgica panacea del vaccino sembrerebbe tranquillizzare gli “esperti”, quelli che Max Weber chiamò “gli specialisti senza intelligenza”. Eh sì, perché tra contratti secretati dai tecnocrati, interessi economici dei Big Pharma e accordi sotto banco per l’approvvigionamento delle dosi, per mano di quelle nazioni che puntualmente scagliano il dito contro la presunta “scorrettezza” (sic.) dell’Italia, si ha l’impressione – o meglio la certezza – che certi atteggiamenti del potere non tutelino in alcun modo la salute delle persone.
Un sedicente membro della nostrana classe politica ha recentemente dichiarato che: «non si ritornerà più alla normalità, quella del 2019». Insomma piano piano, con le buone o le cattive, dovremo adattarci a un nuovo stato di cose. E misteriosamente una frase del genere non sa più di complottismo, se a pronunciarla è una qualche voce del comitato di “esperti” e non il negazionista di turno. Ma ancora una volta, tali parole stuccate di falsità acquisiscono senso solo all’interno di quella cornice securitaria, volta al mantenimento di una perenne strategia della paura.
Tutto è cominciato con il famigerato Lockdown, la cui natura del sostantivo anglofono si riferisce al contesto carcerario e significa non propriamente chiusura ma ingabbiamento. Un termine intriso di connotazione punitiva che sostituisce il più sobrio e neutrale Shutdown, molto in voga durante la Grande Recessione del 2008. Non è forse, in questo caso, l’adozione di un lessema differente a suggerire l’ennesima riconversione semantica della neolingua di Orwell?
Parimenti alla logica adottata dagli inquisitori di un tempo, per cui i fedeli vivono nella loro condizione peccaminosa e irredimibile, anche gli odierni adepti del potere devono condizionare le masse per condurle dentro il baratro del terrore, instaurando un vero e proprio clima di “caccia all’untore”, al fine di poter celare tutte le storture e nefandezze della cui loro condizione è logora.
Ad essere dogmatica oggigiorno non è più la religione, bensì la scienza! Considerata un tempo come Sapientia Philosophica et Naturalis, essa diventa oggi mero strumento al servizio della governance globale e tecnocratica, aspetto questo che potrebbe essere analizzato attraverso il concetto di biopolitica di M. Foucault.
Risuona rumorosamente, dunque, la famosa massima marxiana per cui “la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”.