Meloni: “Utopia un mondo senza nazioni e identità”

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L’intervento del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è da manuale, da conservare per i posteri come parte di quei grandi discorsi dei leader politici di ogni tempo che troviamo citati o ripubblicati in toto come approfondimenti nei vari grandi quotidiani. Perché quello di Giorgia Meloni è stato un discorso che non si è fermato al contingente ma si è proiettato nel futuro, a partire dalle urgenze del presente.

Due le parole chiave: nazione e ragione, l’una dipendente dall’altra. Perché se è vero che «dobbiamo impedire il ritorno della forza come strumento di risoluzione delle controversie internazionali» e dunque la ragione è lo strumento indispensabile per ottenere risultati di coesistenza tra nazioni senza l’uso della forza, non è men vero che proprio le nazioni determinano quel «bisogno naturale degli uomini di sentirsi parte di una comunità di destino» attraverso i confini, le leggi, la storia e di conseguenza l’identità.

Appartiene dunque al regno dell’utopia l’idea fallace per cui tolte le nazioni, tolti i conflitti: è un’equazione balzana, perché, al contrario, sono proprio i confini -e dunque la nazione e l’identità – a muoverci per «trovare un luogo nel quale risolvere le controversie internazionali» senza la forza e con la ragione. L’organismo internazionale dell’ONU è insostituibile, ma lo è anche l’identità delle singole nazioni, perché bisogna «respingere il racconto utopico e interessato di chi dice che un mondo senza confini e senza identità sarebbe anche un mondo senza conflitti».

Non solo: nell’intervento del Presidente del Consiglio italiano al palazzo di vetro un ruolo importante è stato riservato all’Africa e in particolare a quel Centrafrica che di questi tempi è scenario di sommovimenti e colpi di Stato le cui conseguenze si riverberano a livello europeo e non solo, perché tutto è storicamente connesso – con le nazioni, appunto.

Siccità, cambiamenti climatici, sicurezza alimentare producono quel clima di «caos» che rende l’Africa «facile preda di terrorismo e fondamentalismo», da cui i «trafficanti di esseri umani» traggono linfa vitale per organizzare «la tratta dell’immigrazione illegale di massa», senza specificare nelle loro «brochure da normali agenzie di viaggio» che questi viaggi «conducono a una tomba sul fondo del mar Mediterraneo». Un problema che investe non solo l’Italia, per la sua collocazione geografica e geopolitica, ma tutto il mondo.

E qui torna in gioco l’ONU, cui Meloni dà una strigliata anche in termini di lotta alla mafia, a tutte le mafie, a tutte le organizzazioni criminali compresa quella degli scafisti («combatto la mafia in tutte le sue forme» e «combatterò anche questa»): «davvero una organizzazione come questa, che afferma nel suo atto fondativo la fede nella dignità e nel valore della persona umana può voltarsi dall’altra parte di fronte a questo scempio?».

Ed è qui che, secondo noi, si impianta il Piano Mattei prospettato dall’inizio del suo mandato. Lo dice senza nominarlo, ma c’è: perché l’Africa non è un continente povero», ma «ricco di risorse strategiche», spesso «inutilizzate», vittima di un «approccio predatorio» e «paternalistico». Insomma, «occorre invertire la rotta» e «creare un modello di cooperazione» capace di «collaborare con le Nazioni africane».

Identità, nazione, ragione e cooperazione: non vogliamo scomodare né de Gaulle né Reagan, ma pensiamo che l’intervento di Meloni alla 78esima Assemblea generale delle Nazioni Unite sia stato molto più di un appello, ma un discorso da antologia da conservare a futura memoria.

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