Oltre la globalizzazione c’è strapaese

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@ilbestiariodegliitaliani

Americanismo e americanate, si intitola così il nuovo numero de “Il bestiario degli italiani”, rivista strapaesana trimestrale arrivata al suo 14° numero. Numero con tema principale l’America. Quell’America consumista e stravagante, volgare e spettacolare raccontata tramite articoli di approfondimento che la mostrano dal punto di vista degli italiani. Come fenomeno e mito, stroncata e disgustata, guardata con sospetto e diffidenza, ma soprattutto con fascinazione inconfessabile. Da Gramsci a Croce, il nuovo mondo è stato visto dagli intellettuali italiani sempre come una Europa barbara, ignorandone e sottovalutandone la cultura. Cultura che a partire dal secondo dopoguerra ha penetrato quella europea. Importando i miti del blue jeans, della beat generation e del selvaggio west. Un mondo che i selvaggi, in ossequio all’omonima testata novecentesca, del Bestiario riescono a sconfessare e raccontare magistralmente. Mostrando come metro la provincia italiana, quella delle eccellenze gastronomiche e culturali, quella che sa trasformare ogni contaminazione estera in una italianizzazione. È il caso del sigaro toscano, un capolavoro della tabacchicoltura italiana, che nasce come carico malandato di foglie del Kentucky, trasformato tra settecento ed ottocento, in successo popolare. Uno dei pochi sopravvissuti alla concorrenza delle industri americani. Che faceva “addio” alle Nazionali importando le Camel. Il viaggio della rivista per raccontare questa “contaminazione”(come la chiamava Soffici) porta alle narrazioni degli incontri tra circhi di cowboy e i gruppi di allevatori di cisterna di latina. Rodei funambolici tra il lontano west e il far agro pontino, raccontati dalla penna corrosiva di Mosso. Numero che tra curiosità e approfondimenti punta l’attenzione verso un imbarbarimento della società italiana causata dall’emulazione di quella a stelle e strisce. Dal punto di vista linguistico e gastronomico.  Dall’epidemia dell’anglopovero, questa variante terrificante dell’inglese, straripante nelle conversazioni che oltre a “sfondare il setaccio della crusca”, come disse Gadda, impoverisce la lingua nazionale sostituendola, in alcuni giornali o trasmissioni in cui si respira questo tanfo falsamente cosmopolita. Quell’anglopovero banale e scontato, chic e kitch, fermo alla unit 1 del libro di inglese della prima elementare, che mostra pose snob e che viene usato come una specie di latinorum. Una lingua usata più per confondere che illuminare, i vari lockdown, austherithy che sono usati più che per chiarire per oscurare. Abitudine diffusissimo nel costume italiano, così esterofilo da risultare provinciali stico. Esterofilia che è una delle grandi involuzioni gastronomiche degli ultimi 30 anni. La diffusione dei fast food a cui i paesani del bestiario oppongono la tavola calda. Ai bbq burger le carbonare, ai milk shakes i caffe ed amari. Mostrando una forte sensibilità ai temi che mossero il progetto di slow food patrocinato da vittorio sgarbi. Leggendo questo numero si potrà mostrare quella originalità ed originarietà italiana che ai vari foxy-roxy-class bar oppone il bar sport, all’omologazione culturale la particolarità, alle metropoli turbolente i borghi aulenti, resi protagonisti dalla nostra testata tramite le città identitarie. Oltre quella terribile degenerazione e parodia dell’americanismo che è la globalizzazione c’è strapaese. Quel mondo piccolo e fascinoso che non chiude gli occhi alla modernità, ma vi dialoga conscia della propria identità(che dialogo potrebbe esserci tra culture orfane di essa?). Scegliendo al posto al vaso di pandora di plastica made in USA, quello italiano di pandoro.

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