Da l’Aida a la Carmen, i censori… all’Opera

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La morte di Carmen per mano di Don José, nella rappresentazione della Florida Grand Opera (foto Daniel Azoulay, CC 2.0 SA by), al Maggio Musicale Fiorentino (dal sito del regista, www.leomuscato.com)

Così la cancel culture arrivò anche nella lirica. Registi e direttori d’orchestra hanno rovinato più di un’opera, mettendo in scena modifiche e finali stravolti in senso woke. Storpiature che ricordano i tempi cupi della censura nazista

Ogni opera musicale tende a rispecchiarsi nel periodo nel quale viene sviluppata, creando così un legame infinitesimale tra arte e storia, tra creatività e concretezza, tra concezione e particolarità. Questa situazione è infatti fondamentale: ogni composizione può descrivere e focalizzare un aspetto stilistico, nonché diventare elemento centrale per la divulgazione di un’ideologia sistematica, la quale può considerarsi oggetto relativo nel percorso vitale. Un esempio concreto può senz’altro riferirsi a Giuseppe Verdi e al Risorgimento italiano, con il compositore originario di Busseto protagonista indiscusso per una veicolazione di «concetti stratificanti» a sostegno dell’unificazione della nostra penisola, i quali diventano inoltre componenti d’influenza primaria nei confronti delle masse. Da questo è possibile quindi evincere come l’arte debba proporsi concretamente nella piena libertà, senza restrizioni di fenomeni definiti come «woke» o meglio, politicamente corretto. La positività tematica totale difatti non può trasformarsi in un aspetto censorio limitante, il quale si riflette nei cambiamenti della struttura portante di alcune opere. In varie situazioni possiamo ricongiungerci a questo fenomeno di stravolgimento, il quale può essere definito come una cancellazione di parti non gradite al pensiero unico. È questa la cosiddetta «cancel culture», un movimento per arginare cultura, arte e ideologia degli avversari politici o internazionali, utilizzato per eliminare ogni aspetto ideologicamente sgradito, caratterizzando cosi un processo discriminatorio vero o proprio e un’esclusione senza limiti.

Ogni composizione musicale, quindi può diventare «territorio d’analisi concettuale», da definire, visionare e talvolta trasformare, per aderire al comun denominatore della prassi dottrinale del politicamente corretto. È possibile rappresentare quindi una non-libertà apparente e fluttuosa, che pervade ogni metamorfosi creativa nella società contemporanea. Una situazione che analizzeremo presentando vari esempi con fenomeni di revisione o «aggiustamento» per confederarsi al wokeismo globale, un sistema congelato e immobile, che non può definire la forza centrifuga dell’arte. La rappresentazione dell’«Aida» di Verdi nel 2021 presso l’Opera Bastille di Parigi può definirsi come una delle situazioni più eclatanti di questa concezione. La decisione di portare in scena il protagonista e i personaggi raffiguranti gli etiopi con il volto non pitturato di nero (il cosiddetto blackface), definisce la volontà della regista olandese Lotte de Beer, la quale con questa scelta vuole porsi in contrasto con la storia coloniale dell’Africa spartita fra le potenze europee. L’ambientazione dell’opera in un museo diventa così «uno specchio» della società ottocentesca, dove i vestiti dei personaggi e le statue simboliche, vengono concepiti come elementi di contrasto, alle invasioni del XIX secolo. Caso precedente a questo è la messa in scena della «Carmen» di Bizet nel 2018 a Firenze nella quale, invece di rispettare il finale scritto, il regista Leo Muscato opta per una conclusione insolita: difatti sarà Carmen a uccidere Don Josè. Una modifica che nel porsi come «espiazione» di un concetto di violenza diventa un inchino al politicamente corretto.

È ancora la regista Lotte de Beer, nel 2018, a chiedere una profonda revisione in senso woke del libretto del «Flauto Magico» di W. A. Mozart, operazione di cui ha incaricato la scrittrice Eva Peek. Le espressioni controverse e divisive – secondo l’ideologia woke – diventano «terreno di scontro» e vanno cancellate per decontestualizzare completamente l’opera dal suo tempo storico. Queste azioni sono di profonda gravità, poiché sacrificano l’opera d’arte sull’altare di una società sempre più polarizzata fra persone normali e wokeisti, con questi ultimi non disposti a tollerare che non solo nel presente, ma perfino nel passato vi siano state persone con una mentalità diversa dalla loro.

Cicerone si esprimeva dicendo che la «storia è maestra di vita», così sarebbe opportuno ricordare quando durante il Nazismo venne cancellata la storia ebraica dall’oratorio «la Betulia Liberata» sempre di Mozart, arrivando ad una terribile discriminazione che si concluderà nell’Olocausto. Perché tutto inizia dalla parte emotiva e sentimentale che l’uomo ha nel proprio cuore e che esprime attraverso la produzione creativa, la quale deve porsi come elemento neutro dalle fazioni e indipendente da ogni condizione.

Musicisti, direttori e compositori eminenti si sono espressi per combattere una trasfigurata egemonia patriarcale o maschile. La compositrice Ward a seguito di una rilevazione statistica per le BBC Proms, ha rivendicato un diritto di uguaglianza nelle commissioni e nel minutaggio tra donne e uomini, dimenticando però che la musica deve divincolarsi totalmente dalle differenze di genere.

Un pensiero non può non andare all’opera «Traviata» di Giuseppe Verdi. La stessa può considerarsi al suo tempo una violazione della moralità ottocentesca, aprendo un nuovo orizzonte soprattutto alla figura femminile, che per la prima volta poteva definirsi come assolutamente libera. Libera di scegliere, di agire e essere protagonista. Uno scandalo apparente il quale si trasfigurava anche nella vita personale del Maestro di Busseto, il quale conviveva con una donna senza esserne il marito. Una cosa inaccettabile per la prassi dei tempi. Con questo «panorama» si raffigura la funzione dell’arte, che con i suoi elementi di cambiamento, rivoluzione, scandalo, rappresentazione e influenza, deve essere indipendente per agire sul fluire costante della società ad essa contemporanea. Non è possibile difatti permettere una censura invadente che giochi in contrasto con la creatività dell’uomo e con le sue potenzialità globali di espressione. È fondamentale quindi proteggere e preservare lo scopo di ogni azione orientativa alla libertà vitale dell’uomo, dove nessuna catena deve attanagliare l’esistenza pulsante dell’essere più intimo della persona. La modifica quindi della struttura originaria di un’opera diventa un elemento contrastante della democrazia più inclusiva, dove ogni singola particella ha la facoltà di poter aggiungere il proprio pensiero a quello degli altri, per una fase finale dove le differenze diventano oggetto di discussione aperta, per una riflessione totale a 360 gradi. Uno scenario che deve rimanere quindi tale, senza alcuna volontà di stravolgimento. Poiché ogni opera d’arte del passato è parte della nostra identità culturale, la «diritta via» che si pone come istituzione fondante di ogni popolo, la cui esistenza senza libera volontà creativa risulta nulla.

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