Il pensiero italiano: nuova avanguardia europea

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La filosofia italiana è un pensiero del conflitto. Il nostro immaginario intero si nutre di tale dimensione vitale e istintiva. Il pensiero filosofico di una Nazione è riconducibile ai tratti peculiari della medesima. Nel nostro caso, come illustra bene Roberto Esposito, il pensiero italiano nasce in assenza di uno Stato Nazione. Esso, infatti, si declina come caleidoscopico mosaico di suggestioni scaturite da territori ed esperienze molto differenti fra loro, fuse in una metafisica se non mistica comunione che viene legittimata solo un secolo e mezzo fa con l’Unità d’Italia. Il nostro immaginario è di conseguenza scaturito da un pensiero inquieto, instabile, irruente: non nascendo nell’alveo di un potere forte e riconosciuto, si configura da sempre come un rapporto conflittuale con il potere, così come i suoi massimi interpreti, da Dante e Machiavelli fino a Gramsci e Gentile, si ergono a figure del contropotere, intellettuali legati a un’idea visionaria per cui giungono a patire persecuzioni o addirittura morire. È un pensiero della vita, della carne, del politico, inteso quest’ultimo non come fredda amministrazione della res publica ma interpretato come la tela di suggestioni e immagini, di parole e sentimenti, che chiamano in causa gli aspetti irrazionali ed emotivi della nostra esistenza di individui e comunità. È il pensiero incarnato da Pasolini che “getta il corpo nella vita”.

Ci possiamo accorgere di come quello italiano sia un pensiero attuale, che allo spaesamento di un mondo sfilacciato dalle dinamiche globaliste potrebbe opporre un pensiero legato alla vita quotidiana e tribale dei micro-territori da cui sorge.

Il pensiero italiano è allo stesso modo avanguardia. Il Futurismo nasceva da un sentimento ottimista che si poneva l’obiettivo di coniugare il progresso tecnologico con l’elemento ancestrale, riconoscendo la compresenza ineludibile di bellezza e pericolosità, elementi che si esplicitano inscindibili in ogni forma di innovazione. Nell’epoca del post-umanesimo e del tecno-misticismo l’ingegno italiano avrebbe gli anticorpi per declinare il futuro come, sì, una “folle corsa”, ma intrisa di un senso estetico e di una dignità preminente dell’aspetto umano. Si possono individuare nelle forme estetico-mediatiche e nel populismo digitale che abitano la dimensione politica italiana, delle forme di sperimentazione di un tempo a venire, frutti di una capacità intrinseca di leggere il futuro. È una normale conseguenza di tali contraddizioni e peculiarità che l’Italia oggi venga considerata come avanguardia nel conflitto contro l’Europa, potere astratto e artificiale che ha depotenziato e imprigionato la nostra creatività nelle rete della tecno-burocrazia.

Il nostro è infine il pensiero della bellezza, della forma e delle divinità che incardinano il caos e contrastano l’irrompere dell’evento, dell’inatteso, che esse trasfigurano da possibile criticità in destabilizzazione creativa. Eterna rinascita della  potenza italica e vitalistica che metabolizza e ricusa il potere.