Cosa vuole dirci Dio attraverso gli angeli? Più di vent’anni fa a Roma, all’incirca alle due di notte mentre percorrevo in motorino le vie del Gianicolo, fui quasi travolto da un automobile che ad alta velocità non si era fermata allo stop. Il conducente inchiodando bruscamente per miracolo mi salvò la vita. In quel preciso istante partì una telefonata dal numero fi sso di casa mia, dove però non c’era nessuno, verso il telefono di mio fratello che a quell’ora dormiva. Sono qui a raccontarlo e ho ancora i brividi a ripensarci. Eppure deve essere stato un avvertimento soprannaturale, il segnale che forse dovevo rivedere qualcosa nella mia vita. Chissà quanti di voi hanno vissuto esperienze simili.
E quanti di voi hanno saputo tradurre segni, incontri o accadimenti non riconducibili alla razionalità. Gli angeli servono a questo: a proteggerci ed indirizzarci. E quando non ci accorgiamo più di loro allora si ripiegano su stessi, come quello di questa copertina dipinta da Luna Berlusconi.. che poi per me è stata un altro angelo. L’Angelo del dolore, stanco, afflitto dal nostro relativismo nichilista, che ci sta rendendo ogni giorno arrendevolmente senza più speranza, vorrebbe tornare a battere le ali ed illuminare con la sua luce la nostra via. La sua funzione è questa, ma se dentro ognuno di noi sparisce la fede e la ricerca del mistero di Dio allora nessun miracolo compare all’orizzonte.
Così ciò che è divino prende le vesti umane di un filantropo multimilionario e le sue preghiere la forma di un grafico o di uno spietato algoritmo, un hub sostituisce l’anima ed un lockdown il bisogno di comunità. E se l’idiozia, direi luciferina, di qualche attivista antirazzista (quindi lui il vero razzista) chiede la rimozione dell’arcangelo Michele che schiacciando il collo di Satana ricorda l’immagine di George Floyd, allora è il caso proprio di dire, sì: “non c’è più religione”. Ed è giunta l’ora di ridestare quell’Angelo deflagrato su stesso, perché torni ad illuminare la nostra via per renderci di nuovi liberi da questa schiavitù che ora chiamano epidemia