Quella solitudine piena di grazia nelle donne di Carla Patella

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Le opere dell’artista felsinea dimostrano come la figurazione in pittura sappia resistere alle mode e al tempo

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Allieva del “più grande pittore vivente” bolognese Wolfango Peretti Poggi, a dirla con le parole di Federico Zeri, l’artista Carla Patella dimostra, con la sua arte raffinata e culturalmente ricca di rimandi alla tradizione, la persistenza della figurazione al di là del tempo e delle mode. La sua ricerca infatti si colloca nel ristretto novero di quei maestri impermeabili alle tendenze momentanee ma assolutamente rigorosi nella volontà di affermare la verità dell’assoluto. Le composizioni della Nostra sono raffigurazioni estetizzanti di un mondo ideale, trascritto attraverso il gusto e la sensibilità che accompagnano da sempre la personalità dell’artista felsinea: la donna è uno dei soggetti più replicati e indagati, quasi a voler scandagliare psicologicamente l’universo femminile e la propria profondità interiore. In “The Bride” del 2021 possiamo notare quel processo di introspezione attuato attraverso lo sguardo della ragazza, che fissa lo spettatore in maniera diretta, carica e umana. Il gesto della mano destra di sorreggere la testa, lascia trapelare quella sospensione ricercata e ampliata dalla gamma cromatica morbida, soffusamente lumeggiata. Tutto nella composizione è “in potenza”, l’azione appare volutamente rimandata e l’attesa domina ogni gestualità futura. Il bacino d’acqua, sullo sfondo, funge da quinta cerulea capace di conferire distanze alla scena, aprendo ad una dimensione spirituale acuita dall’armonia delle tinte.

“The Bride”, tecnica mista su tela, 2021

E poi l’abito – decorato attraverso una maestria e una lenticolare precisione quasi da antico miniaturista – sembra simbolo non di un giorno da ricordare, bensì di un amore deluso e perso per quell’espressione della donna profondamente crepuscolare, come se avesse smesso di sognare un sentimento senza fine. Le figure femminili di Carla non sono certo accostabili a quei soggetti novecenteschi di Tamara de Lempicka, che vedeva in esse emancipazione, indipendenza e dominio sul mondo, né stilisticamente quei tratti duri – delineati dall’artista polacca ed ereditati dal cubismo – si possono riscontrare nelle miti fattezze dei soggetti di Patella. Piuttosto nella produzione di quest’ultima vengono in mente certi ritratti femminili di Lawrence Alma-Tadema immersi in scenari accostabili a quelli dell’Antica Grecia, arcadici e eterni. In donne esili, dal volto cipriato, assorte nei pensieri; in donne dai sentimenti “didonici” detronizzate da collane di inquietudini e dai respiri di fumo riluce lo spirito decadente di colei che può essere madre, Madonna, sorella, amica, il cui senso della vita oscilla perennemente tra amarezza e coraggio. Ogni protagonista della scena di Patella serba in sé una dimensione affettiva altamente drammatica che incontra certi afflati presenti in talune pitture dell’artista britannico John William Waterhouse, dove è non tanto la figura muliebre ad essere ritratta quanto una solitudine piena di grazia. In ogni donna di Patella riposa Ofelia e Desdemona, vulnerabilità e eroismo, e così la sua sposa, in “The Bride”, sembrerebbe dire “è una bella prigione, il mondo”.

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