Nemmeno il VAR può salvare la debacle rossogrillina

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Chi segue il calcio sa che esiste la “simulazione”: giocatore sfiorato, oscar alla recitazione per impietosire l’arbitro. È quello che sembra sia accaduto ieri alla Camera dei Deputati, quando il deputato grillino Leonardo Donno è stato al centro di un parapiglia e ne è uscito con ben “otto elettrocardiogrammi” (così ha riferito secondo diversi media).

Ma la moviola è in agguato: dai video circolati subito in rete la dinamica dell’evento appare alquanto chiara: Donno si è avvicinato al ministro Calderoli per provocarlo con una bandiera tricolore, in polemica alla riforma sull’autonomia differenziata. Un gesto inusuale per il fronte grillino, non avvezzo a questi momenti di patriottismo (la bandiera sarà nel verso giusto?). Ma la provocazione val bene il tentativo.

Nel giro di qualche secondo, un cordone di commessi della Camera interviene per separare il leghista dal grillino, e dai banchi di maggioranza e opposizione scendono i parlamentari. La tensione è alta, non c’è che dire, e volano parolacce e tentativi di venire alle mani. Tentativi, appunto, perché i commessi sono tutti a quattro ante, e il loro cordone separa egregiamente il provocatore dai provocati.

Risulta così poco aderente con le immagini il racconto fatto da alcuni testimoni d’opposizione – tipo Nicola Fratoianni – secondo il quale il deputato leghista Igor Iezzi “lo ha colpito con dei pugni ripetutamente sulla testa e Donno è stramazzato a terra”. In realtà, se è pur vero che Iezzi è sceso lancia in resta nell’emiciclo, il cordone dei commessi era troppo solido. La sua mano s’agita nel vuoto, Donno ha pure tempo di inveire contro il collega indicandolo con la mano a paletta mentre si gira verso l’arbitro, il presidente della Camera Fontana, poi, improvvisamente, s’accascia e scompare fra le spalle degli assistenti. Da qui in avanti, il racconto del grillino, coi suoi otto elettrocardiogrammi, il fiato corto, i pugni che ha dichiarato d’aver ricevuto attraverso il cordone di sicurezza.

La tensione è alta. La debacle del partito di Donno, sceso sotto la soglia psicologica del 10% alle europee (a petto di una maggioranza, caso abbastanza raro nel panorama delle democrazie avanzate, viene premiata alle urne dopo un anno e mezzo di governo) spinge ad azioni inconsulte per cercare di riconquistare un po’ di visibilità sul viale del declino. Provocazioni, richiami “patriottici” da parte di chi la patria se la ricorda solo quando è strumentale, coretti da stadio con la trita colonna sonora della fiction Netflix (“Bella Ciao”) all’indirizzo della maggioranza. E poi la frusta accusa di “squadrismo” come se parapiglia quali quelli visti ieri non si fossero mai verificati in settantotto anni di storia parlamentare della Repubblica italiana.

Non reagire non è facile. Tuttavia, nervi saldi. Per fortuna, alla Camera molti telefonini dei presenti hanno ripreso la scena, e l’arbitro avrà il VAR per dirimere la questione. Quale che sarà la sua decisione, più che al suo fischio, è ai fischi della storia che l’opposizione dovrebbe guardare per non cadere nel ridicolo.

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