La seconda serata del Festival di Sanremo conferma di fatto quanto visto nella prima: canzoni interessanti (che diventano sempre più belle riascoltandole), tanto show ma anche un po’ di noia che si mischia col trash. Anche quando cantano in 15, come ieri sera, si finisce sempre intorno alle 2 di notte. In mezzo ci dovevano essere il cast di Mare fuori, i tentativi (fallimentari) di fare della logorroica Giorgia un personaggio simpatico nella co-conduzione, quindi un John Travolta, imbarazzato a danzare Il ballo del Qua Qua con Amadeus e Fiorello. L’ultima volta (nel 2006) gli avevamo fatto fare un massaggio ai piedi da Victoria Cabello: chissà cosa racconterà Travolta del nostro Festival all’estero…
Si perde troppo tempo nel fare presentare i cantanti in gara ai colleghi concorrenti, che non si esibiscono nella serata: Amadeus li osserva da dietro annuendo con lo stesso sguardo tenero che usa la maestra mentre guarda l’allievo recitare la poesia di Natale. Solo che qui diventa tutto patetico. Unico momento fuori dalla gara davvero emozionante il saluto di Giovanni Allevi che torna su un palcoscenico dopo due anni da quando ha iniziato a combattere contro un mieloma: l’ovazione dell’Ariston è uno scambio di energie che gli restituisce tutta quella forza contenuta nel suo messaggio di straordinaria vitalità.
Dargen D’Amico respinge le accuse di voler fare politica e urla a fine esibizione: “Il mio era un messaggio d’amore”. Sì, peccato che la sera prima abbia parlato esplicitamente solo dei bambini palestinesi, quindi c’è una presa di posizione piuttosto netta. D’altra parte 13 anni fa persino Vecchioni, pur di prendere consensi dal televoto, diceva che la sua Chiamami ancora amore non fosse politica. Si è visto: Pisapia ringrazia ancora oggi per l’elezione a sindaco di Milano.
Intanto la gara entra nel vivo: il voto delle radio conferma qualche risultato e porta alcune novità. Nella top 5 della seconda serata ci sono, nell’ordine, Geolier, Irama, Annalisa, Berté, Mahmood. Stai a vedere che Loredana diventa la sorpresa. Stasera ospiti Sabrina Ferilli, Edoardo Leo, Gianni Morandi, Eros Ramazzotti.
A dirigere l’orchestra per Ramazzotti sarà Valeriano Chiaravalle, che quest’anno ha anche quattro cantanti in gara: The Kolors, Alfa, Clara, Fred De Palma. Chiaravalle, uno dei pochi direttori d’orchestra veri che il Festival di Sanremo può ancora vantare, è un professionista formatosi con Peppe Vessicchio, nonché figlio di un direttore d’orchestra. Lo abbiamo intervistato subito dopo l’esecuzione di Alfa.
Valeriano Chiaravalle, quest’anno si finisce sempre più tardi con tutte queste canzoni e raddoppia il lavoro anche per voi Direttori d’orchestra.
Tanta roba, forse troppa. Non mi convince la formula con 30 cantanti: se da una parte regala la possibilità a tanti di esibirsi su quel palco ambito, è anche vero che il tempo per provare è sempre lo stesso degli altri anni. Questo mette a rischio l’attenzione a certi dettagli. Il lavoro che c’è dietro a ogni canzone è meticoloso e richiederebbe tantissime prove. La serata delle cover sarà molto difficoltoso per tutti, orchestra in primis.
Alcuni tuoi colleghi illustri, assenti quest’anno, nelle scorse settimane hanno un po’ polemizzato sui social perché negli ultimi anni ci sono sempre più direttori d’orchestra che in realtà non seguono l’orchestrazione del brano, ma la produzione, piuttosto che la programmazione musicale…
È una cosa che l’organizzazione del festival ha spesso tollerato, ma che non trovo utile artisticamente. Si accetta che il producer venga supportato durante le prove da chi ha curato l’orchestrazione, aiutandolo ad affrontare la direzione dell’orchestra, che spesso ha bisogno di risposte estremamente tecniche e competenti: una volta superata questa fase ostica con l’aiuto dell’orchestratore, il producer, può affrontare la serata senza timori perché le prove sono già state superate. Comprendo che il producer, ossia chi ha originariamente realizzato il brano in studio di registrazione, desideri essere pubblicamente gratificato, ma non credo sia questo il metodo migliore. Occorre avere risposte per i 60 professori d’orchestra, con autorevolezza e competenza.
Come si risolverebbe tutto questo?
Per quello che mi riguarda si potrebbe ovviare presentando chi ha prodotto il brano. Spero non dia fastidio la presentazione del Direttore d’orchestra. E’ una giusta tradizione che proviene da anni e anni di musica, colta e non. Andrebbero sempre rispettati i ruoli: come io non mi sognerei mai di fare il presentatore, non trovo corretto parlare di Direttori con così tanta disinvoltura.
Gli orchestrali cosa dicono?
Mi spiace che l’orchestra in questo senso non possa dire la propria. In un contesto di lavoro così difficile alzare l’archetto e lamentarsi può essere un gesto controproducente. Una rivalutazione del fenomeno andrebbe comunque fatta. Come si può dirigere senza conoscere le qualità della viola o del violoncello e non sapere rispondere se il cornista ti chiede qualcosa?
Tu sei concentrato sul brano insomma: lo si è visto anche mercoledì sera, eri già andato via quando Fred De Palma ti stava portando i fiori per fare punti al Fantasanremo. Ecco, situazioni come queste hanno un po’ rovinato il Festival, che va sempre più alla ricerca di certi momenti frivoli?
Il Fantasanremo è un meccanismo parallelo al Festival che ha un motivo di esistere tutto sommato interessante, ma a chi è concentrato su arrangiamento, orchestrazione e tanti altri dettagli può sfuggire, perché è davvero marginale rispetto ai rischi che ci sono durante l’esecuzione. Non ci ho minimamente pensato che potesse esserci questo gioco, ma basta saperlo e ci si organizza! Infatti con Alfa ho aspettato perché ormai lo immaginavo. È una cosa simpatica, che viaggia però su un binario completamente diverso da quello relativo alla gestione della performance
Quando durante l’anno chiudi gli occhi e pensi a Sanremo, quale edizione ti viene in mente per prima?
Forse il 2020, in cui dirigevo Tosca, Tiziano Ferro e Mika, incredibilmente coinvolgente: lì si sono raggiunti i massimi livelli di intensità, anche per rapporti di amicizia importanti. Ma tutte le edizioni, alla fine, ti restano nel cuore.
Dal punto di vista musicale a che punto è il Festival, già cresciuto tantissimo di popolarità?
Valorizzerei diverse varianti per le canzoni: mi spiace che per tre sere si sentano sempre le stesse esecuzioni. Non sarebbe male avere meno cantanti in gara e poter invitare ospiti con cui proporre un arrangiamento diverso. Diventerebbe qualcosa di più creativo e anche televisivo, magari realizzando messe in scena più spettacolari.
Il Festival sta diventando sempre più simile al Festivalbar?
Hai fatto un riferimento che secondo me comincia ad essere calzante. La prima sera ero nel backstage e la presenza di brani con cassa in quattro era predominante. La musica va evolvendosi, normale ci sia un ricambio. Forse però stiamo perdendo la paura di osare: andiamo sul palco tutte le sere con la stessa versione del brano, fotocopia identica dell’esecuzione che si trova su Spotify.. Questo toglie un po’ di vita. Diventa tutto un po’ troppo di plastica: le macchine ci stanno aiutando ma anche togliendo veridicità. Si potrebbe pensare un po’ di più alla performance dal vivo e preoccuparsi meno dell’originale che tutti possiamo ascoltare su Spotify in qualunque momento.
Nelle prime due sere hai sempre aperto tu. Martedì sera Clara è stata particolarmente brava a superare anche l’emozione del debutto, lei che ha appena vinto Sanremo Giovani…
Clara è veramente in gamba: determinata, studiosa, attenta. Quando ha saputo di dover cantare per prima, lei essendo anche attrice è stata molto attenta a gestire la tensione. Una vera professionista.
L’altro giorno scrivevo che Sanremo ha sempre dato quello che il pubblico vuole. Sei d’accordo? Il Festival identifica ancora la cultura degli italiani?
Sanremo deve anche un po’ guidare la società, anticipando i tempi. Non dobbiamo mai rincorrere il pubblico, perché l’arte deve rinnovare. Il rischio di assecondare è altissimo. Non dico che stia accadendo in questa edizione, ma dare al pubblico quello che si aspetta non è una cosa sempre positiva. Bisognerebbe creare varietà in termini di racconto. Magari anche portando qualche cantante ostile al Festival, lontano dal mainstream, innovativo. Il conformismo dato dalla cassa in quattro ho paura possa uccidere un po’ la musica. È un problema di dosaggio di ingredienti…
Se non dovesse vincere uno dei tuoi quattro artisti in gara, per chi faresti il tifo?
Mi piace molto Angelina Mango, un’artista che potrebbe fare cose molto molto interessanti nei prossimi anni. Mi ricorda Rosalia, cantante spagnola che è diventata una star negli Usa. Angelina è un gioiellino che abbiamo in Italia e andrebbe coltivata e portata avanti: stanno facendo un ottimo lavoro e il pezzo mi piace molto.