La terza serata del Festival di Sanremo è quella che deve rilanciare sostanzialmente la pessima figura fatta con John Travolta. Così tutti, da Amadeus a Teresa Mannino, passando per Ramazzotti fino a Russell Crowe, ironizzano su quello sketch, per sfottere in sostanza il solo Travolta. Amadeus, parlando con Eros, ne sottolinea infatti l’antipatia mostrata. Un po’ troppo facile così: in fondo il vero errore è stato del conduttore. Dapprima nell’ospitarlo con disinvoltura, senza capire perché uno come Travolta si stesse autoinvitando. E poi, al di là della pubblicità occulta alle scarpe che evidentemente John voleva sponsorizzare, a metterlo alla berlina sul Ballo del Qua Qua (musica peraltro non propriamente italiana in origine) sono stati Amadeus e Fiorello, che avevano deciso di sprecare così la presenza della star internazionale. La regola della terza serata di Sanremo, però, sembra essere quella: prendere le distanze dalla discussa gag e ricominciare con una scia di ospiti e canzoni che facciano dimenticare in fretta il momento più basso dei Festival di Amadeus. I trattori, invitati da sul palcoscenico dell’Ariston sin dalla prima conferenza stampa, sembrano già essere un fastidio per il conduttore: gli agricoltori in protesta minacciano di arrivarvi di prepotenza se non lo potranno fare autorizzati.
Tanto un ospite in più non si potrebbe negare. A passare dal palcoscenico sono in molti, anche se purtroppo quasi tutti già visti nelle precedenti edizioni. La Ferilli, Morandi (il migliore tra gli ospiti, perché canta, si diverte ed entusiasma sempre) e Ramazzotti (che conferma i problemi dello scorso anno nell’andare a braccio senza il gobbo, che gli suggerisce un testo retorico sulla pace nel mondo) erano già stati presenti troppo recentemente per poterli apprezzare come “sorprese” del Festival. Nessuno si accorge, fra i troppi contenuti di questa kermesse, che Amadeus non fa nulla di quello che promette: non vale solo per i trattori. Per esempio, aveva detto che non ci sarebbero stati monologhi, invece ce ne sono eccome (ieri la Mannino sull’uomo occidentale e i suoi difetti). Aveva promesso non ci sarebbero stati ospiti italiani se non i cantanti in gara, e infatti ogni sera ce n’è più di uno. La sensazione è che l’addio di Amadeus più che una possibilità sia un dovere di cui lui è conscio giustamente da tempo. Questo Festival è uno dei più belli per le canzoni in gara, ma non si sa più come riempire tutta quella sbrodolata di tempo che ci si impone: il direttore artistico ha finito le cartucce e continuiamo a vedere sempre le stesse cose. Quando sono un po’ diverse, manca il guizzo. Anche Russell Crowe che recita in italiano sgangherato la frase più celebre de Il Gladiatore sembra il solito cliché evitabile. Perché casomai non farlo incontrare con Luca Ward, la sua voce italiana che tutti amiamo da sempre? Per fortuna a far respirare un po’ di teatro italiano nella nostra kermesse ci sono il bravissimo Edoardo Leo e Teresa Mannino, che anima la serata divertendo ed è sicuramente meglio di Mengoni e Giorgia come co-conduttrice. Il resto, sono appunto ospiti che la storia di Sanremo ha già sfruttato anche troppo.
Ma Ama tiene moltissimo ad averli: sarà pur vero che è stato attaccato in passato sia destra che da sinistra, rimane che il direttore artistico invita tutti amici di una parte politica ben precisa. Anche parlare di morti sul lavoro non è mai stato argomento di interesse per Sanremo fino a che non c’è stata la possibilità di invitare Stefano Massini con Paolo Jannacci a interpretare L’uomo del lampo, brano dedicato alle morti sul lavoro.
Il cast stesso dei cantanti non è mai stato così palesemente schierato: e poi il problema era TeleMeloni e la presenza di Pino Insegno su Raiuno…
Le canzoni della terza serata sono le meno interessanti: i deludenti Negramaro e Fiorella Mannoia (che stona) vengono massacrati anche dalle radio e dal televoto, che non li inseriscono nella top 5. Al primo posto c’è una delle favorite: Angelina Mango. Seguono Ghali, Amoroso, Il Tre, Mr Rain.
Intanto, nel Festival in cui tutti rinnegano quel che fanno (Amadeus in primis), esplode definitivamente un caso che mette in discussione la storia della musica italiana: quello che oppone la Mannoia a Enrico Ruggeri.
Fiorella Mannoia è a Sanremo 2024 per lanciare un messaggio ben preciso: viva le donne sempre e comunque. Anche quando si comportano in maniera eticamente non proprio appellabile. Il testo della sua canzone in gara, Mariposa, cita orgogliosamente: “Ho amato in un bordello e mentito non sai quanto. Sono sincera, sono bugiarda […] e anche nel buio sono libera, orgogliosa e canto”.
Non è certo un tema nuovo per Fiorella Mannoia, femminista da sempre e nel 1987 in gara con Quello che le donne non dicono, scritta per lei da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone. Eppure sembra che con questo nuovo brano, Fiorella voglia in qualche modo smarcarsi da quello straordinario brano, creando un nuovo manifesto al femminile.
Lo aveva già dimostrato qualche mese fa, cambiando il testo della celebre canzone, che anziché terminare con “Vi diremo ancora un altro sì” ora diventerebbe “Vi diremo ancora un altro no”. Lo aveva fatto chiamando in causa naturalmente uno dei temi più caldi degli ultimi tempi: il patriarcato. Peccato che Ruggeri non intendesse quel “sì” in termini di sudditanza femminile, quanto per sottolinearne la sensibilità e la delicatezza (che peraltro sono la chiave di tutto quel brano).
Oggi Fiorella Mannoia sembra confermare la volontà di cercare nuova linfa e, indirettamente ma non troppo, si allontana da uno dei successi che l’hanno resa famosissima. Forse il suo cavallo di battaglia più importante di sempre.
Così in conferenza stampa prima sottolinea a proposito delle sue partecipazioni a Sanremo: “Sette anni fa ero in gara con Che sia benedetta: ho sempre pensato che da artista devo rischiare perché è nell’essenza dell’essere artista. Anche per noi veterani. Fu l’unica volta che arrivai sul podio, precedentemente sempre a metà classifica”. E via con la prima stoccata, dimenticando i premi della Critica ottenuti negli anni. Poi, dopo essersi inceppata nei congiuntivi (“È giusto che si scrivino cose intelligenti”), eccola rispondere a una precisa domanda su Quello che le donne non dicono
“Sono passati 40 anni, è stata scritta da Ruggeri, che scriveva da uomo. In quel brano c’era l’emozione della sua mamma”, dice quasi stigmatizzando la sensibilità della signora Ruggeri e lasciando intendere che la realtà delle epoche passate debba per forza essere quella ormai raccontata in tutte le salse dal film della Cortellesi.
Continua infatti: “Oggi la donna si sente più come Mariposa, abbiamo consapevolezza della nostra emancipazione, che ancora non viene percepita come un diritto da alcuni uomini. Dobbiamo superare gli stereotipi. Le rivoluzioni si fanno negli anni: da millenni ci vogliono in un certo modo come angeli del focolare, ma siamo molto di più. Gli uomini vedono le donne come una minaccia alla loro libertà. Insegniamo ai figli il rispetto dell’altro. Non ci deve essere un conflitto tra uomini e donne”.
Furba Fiorella: prima fa una canzone (che tra gli autori ha anche uomini) in cui esalta solo la donna, poi afferma che ci debba essere equità di giudizio. Tutti che lanciano sassi e ritirano la mano in questo Sanremo 2024. Quando smetteremo di sentire brani come Mariposa (musica scopiazzata da De Andrè), allora sì che si potrà dire che quel conflitto tra uomini e donne sia superato davvero.