Santa Rita da Cascia, la Santa delle cause impossibili

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Moglie e madre amorevole, si adoperò per tutta la vita a portare la pace fra coloro che erano in lite. La sua fu una santità semplice, domestica, delle piccole cose. La più difficile da realizzare. CulturaIdentità ne ha parlato sul numero di dicembre-gennaio in edicola

Una delle più fulgide figure della grande tradizione dei santi umbri, Santa Rita da Cascia è esempio di umile dedizione a Dio, perseveranza nell’amore coniugale e nella ricerca della vera pacificazione nel nome di Dio. La sua santità che deriva dall’essere sposa e madre paziente e amorevole è qualcosa che sembra così tragicamente incomprensibile ai nostri giorni da potersi a ragione considerare rivoluzionaria. Margherita Lotti nasce nel 1381 a Roccaporena, frazione di Cascia, in Umbria, figlia di genitori anziani che oltre ad allevarla alla mitezza ed alla fede, la dotano di una buona istruzione presso i frati Agostiniani di Cascia.

Rita vive in un epoca di violente faide famigliari che sfociano in guerre aperte, con i suoi genitori che svolgono l’arduo compito di pacieri tra le varie fazioni e perciò hanno acquisito un certo prestigio sociale. Nonostante avesse manifestato una precoce vocazione monastica, all’età di sedici anni Rita viene data in sposa a Paolo di Mancino, che si era innamorato di lei, ricambiato. Paolo era un pugnace ghibellino la cui famiglia possedeva un mulino sulla strada per Roccaporena. La leggenda vuole che Paolo fosse marito scorbutico e violento e che sia stato reso infine docile ed amorevole dalla pazienza, dall’amore e dal buon cuore di Rita. In realtà probabilmente la sua cattiva nomea era più politica che privata e i due si amarono dell’amore coniugale che era al tempo parte essenziale dell’essere buoni cristiani e che non prevedeva certo la possibilità di considerare irrimediabili i normali screzi tra coniugi. Dal matrimonio con Paolo, Rita avrà due figli: Giangiacomo Antonio e Paolo Maria.

Nel 1406 Paolo di Mancino, nonostante avesse posato le armi per lavorare nel mulino di famiglia, viene assassinato nei pressi di casa sua. Rita teme che la spirale di vendetta tra famiglie rivali finisca per coinvolgere anche i figli ormai grandi e altri membri della famiglia decisi a vendicare la morte di Paolo ma una malattia inesorabile le toglie ben presto proprio gli amati figli. La sua richiesta di entrare come monaca nel convento degli Agostiniani viene in un primo tempo respinta per paura di ritorsioni da parte delle famiglie in lotta ma grazie anche al perdono concesso agli assassini del marito, a trentasei anni Rita prende i voti. Vivrà in convento i successivi quarant’anni e fino alla morte sopravvenuta il 22 maggio del 1457 praticherà incessantemente la preghiera, l’umiltà e la carità. Negli ultimi anni della sua vita sopportò i patimenti di una stigmata che le era comparsa in fronte una sera di venerdì santo, dopo che aveva chiesto in preghiera a Cristo di farla partecipe della sua passione.

Oggetto fin da subito dopo la sua morte di un fortissimo culto popolare, il processo di canonizzazione di Margherita Lotti durò duecentosettantaquattro anni, essendo iniziato sotto Urbano VIII nel 1626 per terminare nel 1900, quando papa Leone XIII la proclamò santa. Rita non ci ha lasciato scritti ma solo la sua testimonianza di fede ed il suo fulgido esempio di santità semplice e domestica. La santità delle piccole cose di tutti i giorni e perciò la più difficile da realizzare. La santa delle cause impossibili, come viene chiamata dai suoi devoti sparsi in tutto il mondo cristiano. La santa canonizzata all’alba del Novecento, secolo sanguinario di faide e guerre interminabili, in questo nuovo millennio può essere sicuramente invocata come vera protettrice della pace. Una pace che finalmente non sia più una causa impossibile.

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