Un uomo libero, abituato a convivere e difendere le proprie libertà, di fronte a certe imposizioni all’autoisolamento non può che porsi almeno due domande fondamentali: quanta libertà sono disposto a rinunciare perché lo Stato mi “tuteli”? Fino a che punto l’azione dello Stato può espandersi anche in caso di emergenza?
Quando, da un lato la paura cresce e l’epidemia imperversa e dall’altro la lista delle “azioni proibite” da parte dello Stato cresce in quantità ed in lunghezza dei limiti temporali è inevitabile che un uomo libero si ponga un quesito: libertà e sicurezza sono sempre compatibili?
Un grande pensatore liberale della Scuola austriaca, Friedrich Von Hayek, pose una distinzione chiara tra “sicurezza limitata” e “sicurezza assoluta”. Hayek, che affronta questa tematica in una delle sue opere più famose, “La via della schiavitù”, intende come “sicurezza” soprattutto quella economica, ma le sue affermazioni risultano pertinenti in qualsiasi contesto di “insicurezza”, sia esso dovuto a una crisi economica o a una pandemia come quella che stiamo vivendo.
Un certo grado di sicurezza, secondo Hayek, è indispensabile per la libertà: basti pensare come l’assenza totale di sicurezza economica possa rendere una persona più debole, “dipendente” da qualcuno, oppure come la mancanza totale di sicurezza, ad esempio in ambito sanitario (il tema che ci coinvolge e ci costringe in questi giorni) porti ad un panico generalizzato da un lato, al degenerare delle situazioni di malattia e quindi alla morte dei più deboli dall’altro. L’idea di sicurezza però, come sostiene Hayek, è vaga, ambigua, è interpretabile in un numero fin troppo grande di modi, tanto che “il consenso generalmente attribuito alla domanda di sicurezza potrebbe diventare un pericolo per la stessa libertà”. Ecco allora che diventa necessaria la distinzione tra sicurezza limitata e sicurezza assoluta.
Per quanto si possa considerare legittimo che un semplice cittadino, in quanto contribuente, chieda e si aspetti un comportamento efficace ed adeguato delle istituzioni nella gestione di situazioni di crisi, come ora è quella del coronavirus, che possono scuotere profondamente la sua vita e la sua libertà oltre che quelle dei suoi cari, un liberale non può non mettere in guardia dal pericolo che si passi il labile confine tra “tutela” e “coercizione”: troppe volte la storia ha insegnato che quando lo Stato, anche a volte con giustificazioni apparentemente nobili, si è preso dei poteri di tutela a carattere temporaneo non solo si è poi rifiutato, una volta finita l’emergenza, di rimettere quei poteri, ma ha continuato a implementarli nel tempo.
Questo comportamento si verifica per ogni aspetto che riguardi il rapporto tra cittadino e Stato: le aree di competenza dell’ente pubblico nella storia hanno quasi sempre avuto una tendenza ad aumentare, diventata esponenziale con l’avvento delle economie pianificate e delle teorie keynesiane nel XX secolo.
Anche oggi, nella situazione di gravità in cui ci troviamo, si assiste a quotidiani e spesso ingiustificati tentativi dello Stato di allargare i propri tentacoli ed aumentare le proprie competenze. Favorito da un momento che già stava vivendo una sorta di infatuazione collettiva verso un autoritarismo populista, considerato più efficiente nella risoluzione dei problemi.
Il rischio da evitare, dunque, è che l’epidemia non finisca col diventare un ulteriore fattore di crisi della democrazia, spingendo per un ritorno alla passione totalitaria, ad una richiesta di “sicurezza assoluta”, ad una presenza ossessiva ed ingombrante dello Stato, ad un’economia pianificata, ad una struttura apparentemente “efficiente” come sembrerebbe presentarsi il “modello cinese”, modello che, come tutti i precedenti modelli socialisti e comunisti, la storia ha già condannato, così come accaduto per fascismo e nazismo.
L’analista anglo-iraniano del quotidiano The Indipendent, Barzou Daraghi, in proposito afferma: “Il coronavirus è un’ottima scusa per i leader autoritari ansiosi di comprimere le libertà dei cittadini”.
Incredibilmente premonitrice appare oggi un’intervista rilasciata a La Verità nel luglio del 2018 da Davide Casaleggio, secondo il quale: “Il ruolo centrale del Parlamento si sta esaurendo e in futuro è possibile che non sarà più necessario”.
Per il fondatore dell’associazione Rousseau, il Parlamento “ci sarebbe e ci sarebbe con il suo primitivo e più alto compito: garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti. Tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma”.
Ecco il punto. La cosiddetta democrazia diretta, dell’uno vale uno, che rende inutile la delega della rappresentanza, l’inutilità del Parlamento, già delegittimato per il fatto che lo stato di eccezionale emergenza, ha come imposto la tecnica dei fantomatici dpcm ed i messaggi alla nazione via facebook.
In questi giorni Norberto Gallo, blogger napoletano, ha riesumato sui social la locandina di un vecchio film di Mario Monicelli. Titolo: Vogliamo i colonnelli. Interprete: Ugo Tognazzi. Anno: 1973. Era la farsa esilarante dello stato d’eccezione. La parodia del golpe. A quel tempo, una parodia. Oggi?