La prima classe senza uno studente italiano

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“Cari amici, è l’immigrazione, non il terrorismo, il cavallo di Troia che ha penetrato l’Occidente e trasformerà l’Europa in ciò che io chiamo Eurabia. È l’immigrazione, non il terrorismo, l’arma su cui contano per conquistarci, annientarci, distruggerci”. Così diceva Oriana Fallaci a proposito dell’ immigrazione. Quanto aveva ragione “la strega”? La risposta la faremo dare ai fatti.

Partiamo dalle ultime vicende. Tra queste, quella successa quest’ anno al Comprensivo di San Rocco a Monza, dove si è raggiunto un vero e proprio record: una prima media Pertini in cui tutti i componenti della classe sono stranieri. «E proprio l’integrazione è la parola d’ordine quando si raggiungono questi livelli, perché qui diventa fondamentale insegnare l’italiano ai genitori per evitare che si trovino a parlare tra di loro in arabo», spiega la dirigente scolastica Anna Guglielmetti. Integrazione o sostituzione etnica, visto che si tratta di una classe di soli stranieri?

La risposta la faremo dare al significato della “parola d’ordine” ossia: “incorporazione di una certa entità etnica in una società, con l’esclusione di qualsiasi discriminazione razziale”. Sulla base di questa definizione è difficile parlare di integrazione visto che manca il presupposto affinché avvenga, ossia la “società”. Nel caso di specie quella italiana.

Ma non è la prima volta che si assiste ad un fenomeno di integrazione che sa di sostituzione.

Basti pensare alla scuola di via Paravia che, nel 2012, si è ritrovata con una prima elementare di 17 alunni stranieri su 19. Nel 2015, invece, a Monfalcone, si è parlato della “grande fuga degli italiani” con una classe fatta al 100% di stranieri. A Torino, nell’anno accademico 2018/2019, all’Istituto Comprensivo Ilaria Alpi si è parlato addirittura di due primarie fatte da soli stranieri. E, anche in questo caso, non è mancata la melassa politicamente corretta della dirigente: “la nostra è la scuola dell’accoglienza”. In effetti parlare di sostituzione etnica sarebbe stato troppo realistico.

Una realtà che spesso conferma il fallimento di una sostituzione travestita d’ accoglienza in nome dell’integrazione, visto che è proprio quest’ultima che, soprattutto in questi ultimi due anni, ha mostrato di aver fallito. Un esempio lo si ha col caso Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana, uccisa dai familiari perché si era opposta al matrimonio combinato con un cugino in Pakistan nel 2020.

Purtroppo non si tratta di un caso isolato. Basti pensare quanto successo quest’ anno ad una 19enne indiana, in provincia di Modena. La giovane subiva percosse e violenze per mano dei suoi familiari, da quando aveva rifiutato un matrimonio combinato. Sempre quest’ anno, a maggio, a Reggio Emilia, una ragazza tunisina ha raccontato l’inferno vissuto durante la sua adolescenza perché non voleva vivere secondo la sua religione. Tra queste c’è Amina, la 18enne di origini marocchine scappata di casa per non subire più i maltrattamenti dei suoi familiari, perché non accettavano che si frequentasse con un ragazzo del posto e che vestisse in maniera “occidentale”.

Mancata integrazione e sostituzione etnica “in nome dell’accoglienza”. Scenario inquietante che lo diventa a maggior ragione se si tiene conto di ben tre aspetti: sbarchi raddoppiati, cervelli in fuga pari a 74 mila laureati negli ultimi dieci anni e, sempre negli ultimi dieci anni, una popolazione italiana diminuita di un milione e mezzo di abitanti. Una situazione non certo rincuorante e che fa riflettere su come e quanto la politica e la società, prima di parlare di accoglienza ed integrazione, devono portare scolpite sul petto e quindi riportare nei fatti le parole della “strega”: “La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno”.

Foto CC 2.0 comune di RE

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