Sull’ultimo pezzo di carta scrive l’eroe “E’ vero, è nella guerra che si ama davvero la pace”.

(dedicata a Pasquale De Maria, eroe vibonese morto sulla cima di Val Maggiore nel 1916)

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Il mozzicone di matita danza sul foglio ripiegato, steso sulle ginocchia come onde su affaticato mare.

L’amata trincea lo accoglie, proprio come il secolare ulivo che lo cullava con le sue braccia nodose dopo ore di proficua raccolta.

La neve orna i contorni di morte, bianca come il gesso con cui la mano incerta intarsiava l’enorme lavagna, mentre il maestro seguiva apostrofi ed accenti, severo e premuroso come il suo fedele fucile.

Lino ricorda le urla dei piccoli compagni, che durante la ricreazione schivavano i lanci del cancellino in stoffa, che volava veloce come le pallottole che i fratelli di adesso non riescono ad evitare con eguale destrezza.

Era orgoglioso, Lino, quando sulla vivace carta geografica, appesa vicino a una semplice croce , indicava a memoria i monti ed i fiumi, esitando su quel pezzo d’Italia in mano straniera, mentre gli occhi del maestro scintillavano come la sua baionetta accarezzata dal sole.

Lo stesso orgoglio , pensava, che il suo adorato insegnante avrebbe provato nello scoprire su quel pezzo di carta, raro come l’odio fra la sua gente, quanto fosse diventato forte e coraggioso il suo tenero scolaro, quello che amava disegnare la  Calabria e piangeva sulle note dell’Inno.

Era stato per lui più difficile imparare quella lunga poesia, con le rime incrociate come i tiri delle mitraglie dalle vette, che scalare nell’oscurità l’altura e conquistare il nido austriaco.

È nella guerra che si ama davvero la pace ”, diceva il maestro mentre spiegava la storia. E lui se l’era ricordato quando aveva abbassato le armi e abbracciato il capitano nemico, colpevole solo di esser nato in terra occupata.

Lino sorride, mentre scrive di quando, con parole urlate e gesti degni di un attore provetto, fingendo di essere a capo di un’intera compagnia, spinse alla resa decine di fanti, che uscivano dalle lunghe trincee disarmandosi da soli . Chissà se avrebbe sorriso anche il suo maestro, e se ne avrebbe parlato ai piccoli scolari, spiegando loro che la libertà si conquista con coraggio e , talvolta, con una certa dose di follia.

Il sibilo sinistro dell’alto mortaio fende l’aria, gelida come gli attimi di attesa: il colpo dilania giovani membra, mentre zolle di terra e carne si sparpagliano intorno come semi nel vento.

Il fango sporca la candida pagina, proprio come l’eccesso d’inchiostro sul prezioso pennino, quando il dettato scorreva tra dubbi e certezze.

Lino corre con la schiena abbassata, mentre la tempesta di fuoco domina la sorte e cancella ogni banale differenza.

Manca ancora poco per finire quel foglio, giusto lo spazio per descrivere la prossima impresa.

La cima vomita piombo mortale e i precisi spari mietono uomini a mazzi , come falci delicato frumento.

Lino si arrampica agile sulla roccia aguzza, proprio come faceva sugli alberi per raggiungere la ciliegia più bella.

Ancora poco e avrà a tiro il maledetto mortaio. Ancora poco e raccoglierà il carnoso frutto. Ancora poco e potrà tingere di eroiche lettere le ultime righe.

Chi l’avrebbe mai detto? Proprio lì, dove l’uomo scopre la belva, dove il buio squarcia la luce, dove la speranza è trafitta dall’intolleranza, proprio lì Lino ha conosciuto il vero significato degli insegnamenti del caro maestro.

Sui campi di battaglia, fra occhi vitrei spalancati al sole e ventri squarciati , Lino ha compreso che è il silenzio che dà valore alle parole, la solitudine che insegna a vivere insieme, la sconfitta che conduce alla vittoria.

Il foro nella giubba è ampio, come la finestra del granaio da cui salutava il sole nelle albe d’estate.

Proprio lì, mentre l’ultimo pezzo di carta si colora di morte, Lino sussurra al vicino maestro: “E’ vero; è nella guerra che si ama davvero la pace”.

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