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La nuova informativa in Parlamento di Mario Draghi dopo il suo viaggio negli Stati Uniti e sugli sviluppi del conflitto ucraino consegna di nuovo al Paese l’immagine di un premier che non vede l’ora di voltare pagina. Deluso e insofferente soprattutto per i dissidi nella maggioranza, non nasconde, plasticamente, il desiderio di togliere il disturbo. Si era offerto a Biden come ultra-americano e schiacciato sulla linea di Washington, ma i continui distinguo di Conte, Salvini e persino di Berlusconi lo hanno indotto a posizioni più morbide e al richiamo costante alle trattative e alla pace. E anche da Bruxelles, Parigi e Berlino i messaggi arrivati sono stati chiari: il bisogno dell’UE è diventato incalzante con lo scoppio della guerra in Ucraina, occorre definire una posizione europea tra i blocchi contrapposti, non si può indossare soltanto una divisa a stelle e strisce. E così Draghi lo yankee (Mit di Boston, dal 1998 Board of Trustees dell’Institute for Advanced Study, Vice Chairman e Managing Director di Goldman Sachs) in pubblico indossa, malvolentieri, l’abito da turbo-europeista. Il tutto mentre la maggioranza dei migliori, che avrebbe dovuto salvare l’Italia con l’aiuto del benefico balsamo della tecnocrazia, è sempre più lacerata. E lui, SuperMario, finché c’è da scrivere il Pnrr, o trattare con Bruxelles sul debito, si muove con autorevolezza e decisione, ma poi si perde in casa negli ostacoli interni della sua larga e composita coalizione, fra imprevisti, gaffe e scivoloni. Non riuscendo proprio a cancellare la ruggine del flop del Quirinale, che sin dall’arrivo a Palazzo Chigi era il suo vero obbiettivo. Ruggine che ha incrinato anche lo stesso rapporto con il presidente Mattarella: i due coabitano, nel rispetto delle istituzioni e dei ruoli, il feeling però non c’è più, scomparso nella fitta nebbia della rielezione al Colle. Insomma, senza la guerra in Ucraina, e le nuove emergenze che ha prodotto, l’esecutivo Draghi sarebbe già stato accompagnato alla porta. Perché Draghi non è più Super-Mario, persino secondo una schiera sempre più nutrita di politici. Dopo le votazioni nazionali del 2023 dirà addio senza rimpianti a palazzo Chigi e alla politica italiana. Magari, se la guerra in Ucraina termina, anche il prossimo ottobre, in autunno. Sperando e contando sul fatto che i suoi amici a Washington nel frattempo non lo abbiano dimenticato.
E’ un Super Sig. Nessuno ignorato e schernito da tutti, quando è stato in America Biden con lui non ha fatto nessuna conferenza stampa finale, come fa con Scholz o Macron, l’ha trattato come si tratta un fantoccio a sua disposizione, una specie di cagnolino da compagnia, che non ha nessun peso.
L’Italia riceve all’estero lo stesso trattamento che riserva alla Colonia del Regno di Napoli conquistato 160 anni fa’….E io GOOOOODO !