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Ricorre domani il decimo anniversario del terremoto in Emilia, alla cui celebrazione è atteso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il sisma coinvolse non solo l’Emilia: si registrarono danni ed edifici inagibili anche nelle zone confinanti della Lombardia e localmente in Veneto. Un terremoto caratterizzato da una lunga sequenza sismica, con due violente scosse di magnitudo 5.9 il 20 e 29 maggio e migliaia di repliche. Transitando nelle zone colpite, ancora adesso, si notano cantieri. Le ferite del terremoto del 2012 sono ancora evidenti, soprattutto in edifici religiosi e pubblici. Un totale di 28 vittime e 300 feriti in tutta l’area interessata al sisma, che comprende le province limitrofe. Ormai sappiamo che il terremoto, in qualsiasi parte d’Italia colpisce, inevitabilmente danneggia una gran parte del patrimonio culturale. Dopo aver creato un sistema di protezione civile che funziona prevalentemente per le persone, c’è bisogno di occuparsi della sicurezza del patrimonio con veri professionisti sia in fase di prevenzione che in fase di ricostruzione. La violenza del terremoto emiliano del 2012, in particolare, non è riconducibile tanto alla magnitudine delle scosse, che è stata inferiore a quella di altri eventi catastrofici, quanto negli effetti che si sono verificati su alcune tipologie di strutture, in particolare storiche. La prima reazione di sconforto è stata inevitabile, di fronte alla perdita di vite umane, alla sofferenza indicibile di decine di migliaia di persone, allo sconvolgimento di un tessuto produttivo di straordinario valore non solo economico ma anche sociale, al danneggiamento variamente graduato ma comunque grave, fino alla distruzione totale, del patrimonio culturale. Il territorio italiano è fortemente instabile e richiede di intervenire con urgenza ed in modo consapevole. Infatti una delle urgenze che emergono è quello di prevenire e prevedere piuttosto che di attendere ed intervenire. Proprio gli edifici storici e monumentali sono i primi ad essere colpiti dagli eventi sismici, in modo spesso devastante. Ecco perché bisogna puntare ad una nuova strategia costruendo una prevenzione, in particolare utilizzando strumentazioni all’avanguardia per proteggere, salvaguardare e valorizzare un patrimonio immenso, stratificato e capillarmente diffuso su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un compito arduo che richiede molte risorse e un impegno da parte delle istituzioni pubbliche e private e degli stessi cittadini. Un compito su cui da anni si ragiona a tutti i livelli istituzionali, non può essere tralasciato. Non può esserci valorizzazione del nostro patrimonio senza un programma organico di protezione e prevenzione. Gli strumenti di prevenzione appartengono a due grandi famiglie: quelli finalizzati alla preparazione alla emergenza e quelli a lungo termine, volti a ridurre la condizione di rischio. I primi, sono i piani di emergenza comunale di cui tutti i comuni si devono dotare. E’ su questo possiamo dire che la Protezione Civile, ha avviato un percorso virtuoso che però deve essere seguito fino in fondo. Gli strumenti di lungo periodo, invece, mirano a diminuire il più possibile, la pericolosità, la vulnerabilità e l’esposizione. Quindi bisogna affermare che serve una cultura politica ed economica non più concentrata solo sull’immediato futuro, su operazioni visibili, ma su una cultura silente fondata sulla costruzione di una prevenzione capace di ridurre nel tempo drasticamente pericolosità, vulnerabilità e esposizione. Basti pensare che all’indomani del terremoto che distrusse Catania nel 1693, lo stato spagnolo adottò misure di straordinaria efficacia e con grande senso pratico delle necessità che la crisi comportava , crisi sopraggiunta appena quindici anni dopo l’eruzione che aveva, anche in quel caso, inferto danni gravissimi alla città. Ciò che più colpisce, al di là della macchina organizzativa del tutto comparabile a quella di uno stato moderno, è l’indirizzo impresso alla ricostruzione della capitale della Sicilia Orientale: si prescrisse l’allargamento delle strade e la creazione di piazze, con l’obiettivo dei varchi in caso di evacuazione. Il volume di Guidoni e Boschi del 2001 a questo proposito andrebbe letto in questa ottica perchè quello che è successo 500 anni fa dimostra che la prima forma di protezione è la conoscenza. |