Quelle novelle di Pirandello tutte da mangiare

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Il cibo e la tavola sono presenti in quasi tutte le opere di Luigi Pirandello in quanto evocazione di un passato ormai lontano e di ricordi che caratterizzazione ambienti e personaggi. Proprio attraverso il linguaggio gastronomico, Pirandello conferisce al cibo e al mangiare una funzione di realismo, di verità della rappresentazione.

Attraverso una vera e propria “memoria dell’odore”, i ricordi sono una costante quotidiana dei personaggi che popolano il mondo pirandelliano: “i dolci avvolti in fili d’argento” e dei “rosolii all’aroma di anice e cannella, nella novella Difesa del Mèola; in Lumie di Sicilia, la vista e l’odore delle degli agrumi siciliani diventano l’immagine nostalgica di un passato ormai lontano; nella novella La Fede, l’odore del pane caldo fatto in casa, che si diffonde nella stanza misto all’odore dell’incenso pervade il protagonista di un senso di pace e di spiritualità; nella commedia L’Uomo, la bestia e la virtù l’intreccio della scema ruota intorno alla preparazione di un pasticcio di crema, riempito di un ingrediente afrodisiaco, da servire al momento del dessert; l’uovo, in Il giuoco delle parti, è il tutto e il niente e diventa il simbolo dell’esistenza umana.

Ma anche la descrizione della tavola è un elemento fondamentale delle sue opere di narrativa. Sontuosa negli interni borghesi in occasione di pranzi importanti e conviviali, come il banchetto nell’opera I giganti della montagna; umile negli ambienti contadini e dei pescatori, con cibi poveri come le minestre di fave, di macco, di lenticchie, e il pane nero.
Nel susseguirsi delle pagine, il mangiare ricorre quasi come status dei personaggi e dei loro contesti, diventando spesso elemento centrale del racconto con un grande valore simbolico.

Pirandello affida i ricordi dei suoi personaggi al gusto e all’olfatto e non esiste modo migliore per risvegliare, così, anche quelli del lettore.

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