Toti: no alla revoca dei domiciliari ma processo subito

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Le Procure possono sbagliare per eccesso di sicumera? Quella di Genova chiedendo il giudizio immediato a carico di Giovanni Toti potrebbe incappare in uno di questi falli. Nel caso di Giovani Toti proprio l’ultima azione dei Pm dà credibilità all’ipotesi che contro l’ex – ormai – presidente della Regione Liguria si sarebbe proceduto con l’obbiettivo di scalzarlo dalla sua carica. Il professor Sabino Cassese – la cui autorevolezza giuridica è complicato mettere in discussione – in una nota specifica sul caso ha saggiamente illustrato che l’uso della carcerazione preventiva, ancorché contenuta agli arresti domiciliari, a carico di un eletto dal popolo che viene privato del diritto-dovere di esercitare la sua funzione rappresenta un vulnus della democrazia.

Il concetto è evidente: se io elettore che sono sovrano in base all’articolo 1 della Costituzione decido che tu debba amministrare non può esservi un “potere” (ammesso che la giurisdizione sia un potere e non più correttamente un ordine, dunque dipendente dall’organizzazione dello Stato e non a sé stante) che inficia tale decisione se non a sentenza di colpevolezza definitiva. Il tema delle osservazioni di Cassese era questo: si può porre l’amministrazione democratica in attesa di giudizio? La risposta del costituzionalista è stata chiara: no. Per tutto il periodo in cui Giovanni Toti – periodo che persiste tutt’ora – è stato costretto agli arresti domiciliari si è ben messo in evidenza che il nostro codice di procedura penale (articoli 273-274) dispone oltre all’evidenza di gravi indizi di colpevolezza anche la sussistenza di altre tre circostanze: possibilità di fuga, reiterazione del reato, possibilità d’inquinamento delle prove. Su questo terzo elemento ha insistito la Procura di Genova rigettando tutte le richieste di revoca dei “domiciliari”. Appena Giovanni Toti ha presentato le dimissioni da presidente della Liguria ci si attendeva la revoca della misura cautelare – protrattasi per oltre 80 giorni, l’ultima richiesta di annullamento è di due giorni fa e si attende l’esito – e l’avvio della fase processuale. La Procura di Genova ha invece chiesto il giudizio immediato a carico di Toti, di Aldo Spinelli e dell’ex presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini (anche loro sottoposti tutt’ora a misure cautelari) il che significa che salta l’udienza preliminare – non ci sarà dunque il vaglio del Gup sulla consistenza delle accuse – e si va immediatamente a processo liberi gli accusati soltanto si scegliere eventualmente i riti alternativi. Il giudizio immediato – se il Gip lo accorderà, ma in questa inchiesta mai il giudice ha eccepito sulle richieste della Procura – è un’eccezione e si fonda sulla convinzione dell’accusa di avere prove evidenti di colpevolezza.

Proprio questo elemento stride con la reiterata opposizione alle richiese di revoca dei domiciliari. Come si può ritenere che l’indagato inquini le prove se nell’arco di meno di tre mesi il Pm arriva a chiedere il giudizio immediato convincendosi di avere insindacabili elementi di colpevolezza? Come si può ritenere che un presidente di Regione che chiede la revoca dei domiciliari per evitare la paralisi dell’istituzione organizzi la fuga se i Pm hanno sufficienti prove per farlo condannare in contumacia? Com’è possibile che l’indagato aggravi la sua posizione reiterando il reato se il Pm ha già cristallizzato le prove a suo carico? Ciò che vale per Toti vale anche per Spinelli e Signorini. Vi è un’evidente contraddizione tra il mantenimento delle misure cautelari e la richiesta del giudizio immediato. Condizione per chiedere il giudizio immediato infatti è che l’indagato sia iscritto da meno di 90 giorni nell’apposito registro e che sia stato interrogato. Ora l’inchiesta che riguarda Toti ha preso avvio – a quanto si sa – da 4 anni e l’accelerazione che i Pm hanno impresso nelle ultime settimane ha come punto di arrivo la richiesta di giudizio immediato e come effetto le dimissioni di Toti con ciò inverando quanto Cassese stigmatizza come vulnus alla Costituzione.

Viene da chiedersi quale immediatezza vi può essere rispetto a un procedimento aperto da quattro anni. E sorgono altri interrogativi se non di legittimità almeno di opportunità. Non è usuale che un ex vicepresidente del Csm Davide Ermini, onorevole del Pd, membro della direzione nazionale del partito e già commissario del Pd ligure, che ha nominato Nicola Piacente a capo attuale della procura genovese diventi presidente della holding di uno degli imputati, la Spininvest, dopo che Aldo e Roberto Spinelli si sono dimessi, nel magio scorso, dai vertici delle società a seguito dell’inchiesta. Ermini ha espresso soddisfazione per questo nuovo incarico dicendo: “È un gruppo in salute dalle grandi potenzialità di sviluppo. Sono fiducioso che, lavorando insieme ai membri del nuovo consiglio e ai manager del gruppo, potremo raggiungere nuovi traguardi e costruire un futuro prospero”. E’ appena il caso di notare che secondo la Procura guidata dal dottor Piacente questo gruppo è così sano perché ha praticato sistematica corruzione di Giovanni Toti in evidente danno di imprese concorrenti. E viene da chiedersi come possa il Pd spiegare anche la candidatura di Andrea Orlando a presidente della Regione al posto di Giovanni Toti, eliminato per via giudiziaria, atteso che Orlando è stato ministro della Giustizia dal 2014 al 2018 in concomitanza dell’ascesa di Ermini al vertice del Csm. Chissà – visto che in Liguria si vota in ottobre – che anche su queste opportunità non ci sia un giudizio immediato: quello degli elettori.

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