Le fake news sulla Rai pagate coi soldi dell’UE

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La copertina del rapporto del MFRR

Oste, il vino è buono? Chiedere a un giornalista che odia la maggioranza di centrodestra se in Italia c’è una “dittatura” è esattamente la stessa cosa che chiedere a un oste della malora se il suo vinaccio allungato con acqua sia un DOCG. Ovvio che lo è. Il documento diffuso lo scorso 29 luglio dal consorzio Media Freedom Rapid Response, cofinanziato dall’Unione Europea, è diventato una sorta di sentenza contro l’Italia: «La libertà dei media in Italia è in costante declino negli ultimi anni, segnata da attacchi e violazioni senza precedenti, spesso avviati da funzionari pubblici nel tentativo di mettere a tacere le voci critiche. L’interferenza politica nei media pubblici e l’uso sistematico dell’intimidazione legale contro i giornalisti da parte di attori politici hanno a lungo definito il rapporto media-politica in Italia. Tuttavia, queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti negli ultimi due anni».

Chi vive nel nostro paese però sgrana gli occhi. Possibile? In effetti qualche dubbio viene, visto e considerato che il blocco dell’intellighentzia di sinistra appare sempre monolitico e intoccato. E infatti – come fa notare più di un osservatore – le firme dei collaboratori a questo documento appaiono proprio come i proverbiali osti di cui sopra. Lo scrive per esempio Luigi Mascheroni su “Il Giornale”: “una collega di Radio Popolare, una del Fatto quotidiano, due di Domani, uno della Stampa, una di «Fada Collective», uno de La7 e uno di Repubblica”. “Un parterre, capirete, che conferma il pluralismo delle fonti del drammatico rapporto” commenta con il consueto, graffiante sarcasmo Mascheroni.

Ma c’è di più.

In Italia, a parlare sui media, a telecamere riunite, di questo rapporto sono… gli stessi che l’hanno firmato. Siamo qui a un livello di marchetta mai visto. Nota infatti Domenico Di Sanzo sempre su “Il Giornale”: «“La Repubblica” e “Il Fatto Quotidiano” affidano il resoconto sul rapporto che parla di libertà di stampa a rischio agli stessi giornalisti che hanno collaborato al lavoro di Media Freedom Rapid Response. “Il report europeo sulla libertà di stampa boccia ancora l’Italia”, il titolo del sito di “Repubblica”. A curare il pezzo è Matteo Pucciarelli. Nome che appare anche in calce al report in qualità di stakeholder. Identica operazione fa “Il Fatto”. Martina Castigliani scrive l’articolo sul documento anti-Meloni e compare anche tra chi ha collaborato al report-denuncia. Uguale “Domani”».

“Casa e bottega” conclude Di Sanzo, evidenziando il cortocircuito che riguarda tutte le testate coinvolte, compresa “La Stampa”, il cui giornalista Ilario Lombardo firmatario del rapporto è famoso per i suoi botta-e-risposta con la Meloni, e “Radio Popolare”.

L’operazione, insomma, appare come il trito copione del fuoriuscitismo, che inventa all’estero maldicenze su ciò che avviene in patria, per fomentare lo straniero e trovare sponde. Ciò che più inquieta, però, è che questo documento sia un prodotto semi ufficiale dell’Unione Europea, confezionato con denaro comunitario per attaccare un governo legittimamente eletto.

Un’operazione che suona come il goebelsiano “ripeti una bugia cinquanta volte, diventerà una verità”. A forza di dire che in Italia c’è una fantomatica “Tele Meloni”, qualcuno finirà per crederci. Eppure, la realtà è sotto gli occhi di tutti: intere televisioni, come La7, schierate con tutti i calibri contro il governo (e quelle sì, prive d’ogni voce dissonante); programmi nella TV pubblica in cui i giornalisti sono penne di sinistra e sono liberissimi di commentare da sinistra e attaccare da sinistra l’operato del governo.

E in questo panorama, le prefiche che gridano alla “Tele Meloni” vomitano veleno su quelle – in verità pochissime – trasmissioni che hanno conduttori o autori fuori dal loro esclusivo circolo benedetto dai soldi UE. E si badi bene: non trasmissioni politiche, che fanno politica e sostengono politicamente il governo. Trasmissioni di intrattenimento, cultura o storia che hanno il torto d’avere per frontman uomini o donne non-di-sinistra.

E questa è la morale della favola: per il blocco dell’egemonia culturale rossa, ogni nota dissonante, ogni voce libera, non allineata e coperta è una frustata in faccia. Altro che “Tele Meloni”. La Rai è “cosa nostra” in questa mentalità monopolista e chi vi entra deve far parte della “famiglia”, sennò va distrutto. Con ogni mezzo. Anche la bugia finanziata coi soldi dell’UE.

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