Uno nessuno centomila Pirandello

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Ottantasei anni fa moriva Pirandello. Celebriamo l’anniversario del grande scrittore con l’articolo di Manlio Triggiani pubblicato sul mensile di CulturaIdentità dedicato ai Profeti inascoltati del 900.

“Ma la causa vera di tuti i nostri mali, di questa tristezza nostra, qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Poiché quando il potere è in mano d’uno solo, quest’uno sa di essere uno e di dover contentare i molti; ma quando i molti governano pensano soltanto a contentare se stessi, e si ha allora la tirannide più balorda e odiosa: la tirannide mascherata da libertà”. (da Il fu Mattia Pascal).

Luigi Pirandello fu tra i massimi drammaturghi del XX secolo, premio Nobel per la letteratura nel 1934, autore di romanzi, novelle, racconti brevi e drammi. Nacque a Girgenti (nome mutato nel 1927 in Agrigento) in una famiglia dell’agiata borghesia siciliana. Il padre Stefano aveva partecipato ai moti garibaldini e la memoria risorgimentale e patriottica fu sempre presente in famiglia. Pirandello divenne ben presto nazionalista e interventista. Mentre aveva successo con le sue opere letterarie, il 17 settembre 1924, qualche settimana dopo il delitto Matteotti, chiese l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista e rilasciò alla rivista “L’Impero” una intervista nella quale sostenne: «Sbarazzare il terreno dalle chiacchiere, sopprimere la Camera dei deputati, sostituirla con un’assemblea mista di tecnici e di rappresentanti delle istituzioni basilari dello Stato, sopprimere la stampa avversaria». Dichiarazione che scatenò polemiche alle quali Pirandello rispose con forza adducendo la necessità di evitare campagne di stampa pretestuose e finalizzate a scatenare l’odio.

L’anno successivo, il 1925, firmò il “Manifesto degli intellettuali fascisti”. Scelta derivante dal suo sentire nazionalista e fascista che mai rinnegò. Non solo: con il tempo arricchì queste sue visioni con ulteriori analisi e critiche come, a esempio, l’apprezzamento per l’azione e quindi per la coscienza fascista considerata una realtà in divenire e il disprezzo per le illusioni del socialismo. Ecco perché nella società giolittiana lo scrittore siciliano vedeva solo il “caos” da combattere e abbattere per dare all’Italia un ordine nuovo che non fosse strettamente ideologico ma di ampia visione del mondo: il fascismo ai suoi occhi incarnava questo modello. Tanto è vero che nelle idee espresse dal fascismo si ritrovavano, fra gli altri, insegnamenti di Nietzsche, Pareto, Rensi e Tilgher.

Pirandello apprezzava il pragmatismo, l’antiintellettualismo e l’irrazionalismo che sfociavano nell’opposizione alle ideologie ottocentesche ormai considerate superate anche alla luce del loro fallimento. Al centro del suo pensiero c’era la concezione dell’”artista politico” che sapeva leggere la vita e le sue evoluzioni al di là della comprensione soggettiva mettendo a fuoco una rappresentazione della realtà in un modello umano e sociale che poteva essere trasposto in un modello di società. Ma per l’odio verso l’irreggimentazione, per il senso spiccato di libertà, a metà degli anni Trenta, Pirandello si allontanò dal fascismo.

Nella sua ampia e complessa opera, “un cantiere sempre aperto” come disse il critico Giovanni Macchia, c’è una sterminata e ricca produzione di novelle, drammi, racconti, romanzi. Nel 1926 esce Uno, nessuno e centomila, ultimo romanzo che racchiude tutta l’ideologia pirandelliana.

Conferma una visione pessimistica della società, alimentata da una critica antiborghese basata sulla convinzione che in una società felice e borghese la coscienza non può realizzarsi completamente.

I temi fondamentali della poetica pirandelliana furono essenzialmente quattro: il contrasto fra illusione e realtà, dove l’illusione si appalesa come inganno o cosa irrealizzabile di fronte a una realtà meschina. Secondo tema ricorrente, il sentimento del contrario, cioè l’intervento della riflessione, del momento critico per mettere a fuoco la realtà che spesso supera l’apparenza, vanificando così ogni illusione. Terza tematica, il sentimento dell’imprevedibilità, della casualità delle vicende umane. Quarto tema, il rifiuto di ogni sperimentazione linguistica e la ricerca e affermazione di una lingua comune comprensibile da tutti.

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