L’omertà sulle violenze degli antagonisti nelle università

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Morale della favola: sei di destra? Non può esserti concessa agibilità politica all’interno dell’Università. Il copione, sostanzialmente, è lo stesso: un picchetto davanti all’ingresso, o un cordone attorno a un banchetto e l’accesso agli spazi – formalmente di tutti – è ‘negato’ al suon di “fuori i fascisti”, insulti e una varietà di cori sopravvissuti alla colonna sonora degli anni ‘70. Le angherie dei soliti prepotenti, ingabbiati nel più bieco ideologismo, seguono forme e canali differenti: pressioni e atti intimidatori iniziano ad appesantire il clima, le contestazioni strutturate a iniziative e convegni rincarano la dose.

E se è vero che il fenomeno non è circoscritto a particolari fasi dell’anno accademico, è in particolare in prossimità delle elezioni per il rinnovo degli organi collegiali che la temperatura sale. All’orizzonte un rischio mai da sottovalutare: dalla violenza verbale a quella fisica il passo può essere breve, quando l’aggressività lievita. Ne sanno qualcosa i militanti di Azione Universitaria nell’Università di Trento, in piena campagna elettorale per il voto del 19 e 20 novembre. Qualche giorno fa, infatti, è toccato a loro fare i conti con l’intolleranza ottusa dei collettivi di sinistra.

Giulia Clara Balestrieri, presidente di Azione Universitaria Trento, parla di un «clima surreale ed inaccettabile». E denuncia: «siamo stati circondati da 45 violenti dei centri sociali che ci hanno impedito di poter entrare nella Facoltà di Sociologia a fare un banchetto. Mentre i violenti ci strappavano i volantini dalle mani e distruggevano il nostro materiale elettorale, l’Università e il Rettore non sono intervenuti per garantire il nostro sacrosanto diritto di poter entrare in Facoltà. Se pensano di intimidirci, sbagliano di grosso. Andremo avanti, ancora più determinati di prima». Le fa eco il presidente nazionale dell’associazione studentesca Nicola D’Ambrosio: «i soliti noti dei centri sociali tentano ancora di arrogarsi il diritto di poter decidere chi può e chi non può entrare in Università. Spiace per loro, ma Azione Universitaria non si è mai fatta intimidire, e non lo farà certo adesso. Azione Universitaria a Trento è presente nella Facoltà di Sociologia e farà un grande risultato: si rassegnino tutti!». I video dei fatti di Trento si sono rapidamente diffusi sul web. Generando scalpore negli ambienti della destra politica: sulla vicenda è stata espressa solidarietà da diversi esponenti di Fratelli d’Italia. E il deputato meloniano Gaetano Urzì annuncia una interrogazione parlamentare. Va registrata altresì la reazione del tettore Flavio Deflorian, (negli ultimi mesi al centro delle polemiche per aver promosso l’iniziativa di riscrivere il regolamento dell’Ateneo usando il cosiddetto femminile “sovraesteso”, ossia la declinazione al femminile anche di cariche che riguardano uomini) che parla di una «sconfitta per tutti» e di «diritti lesi». E di “diritti lesi” si tratterebbe: secondo le molteplici ricostruzioni, infatti, l’attività di volantinaggio da parte di Azione Universitaria era stata regolarmente autorizzata dalla facoltà. Il sit-in dei collettivi rossi, invece, no.

Il caso, v’è da sottolineare, assume contorni ancora più delicati se si pensa che la stessa facoltà di Sociologia di Trento ha dato i natali, sotto il profilo intellettuale, a Renato Curcio e Mara Cagol, tra i fondatori delle Brigate Rosse. Peraltro, nei giorni in cui a Bologna prima e a Roma e Torino poi, diverse manifestazioni di piazza (come quelle “Pro Palestina” o del “No Meloni Day”) sono sfociate nella violenza, tra scontri con le forze dell’ordine, studenti che alzano il braccio a mimare il gesto della P38, fantocci di politici dati alle fiamme, foto degli stessi macchiati di materiale a simboleggiare sangue. A dimostrazione che la prepotenza degli squadristi del pensiero unico non è affatto isolata. Per carità, ai più acuti osservatori, casi di questo genere quasi non fanno più notizia: si ripetono da decenni, e la loro frequenza non accenna ad attenuarsi. In un clima, per di più, di sostanziale impunità e nel silenzio dei media mainstream e delle testate giornalistiche di orientamento “progressista”, sempre ligi, invece, nel produrre costanti radiografie alle strutture della destra giovanile. Da questo ennesimo caso, si raccoglie una certezza: odio e intolleranza covano e albergano negli ambienti di sinistra. Piuttosto che scomodare – talvolta impropriamente – l’espressione “fascismo degli antifascisti” comunemente attribuita a Pasolini, meglio chiamare le cose per il proprio nome: antifascismo militante. Il cui volto autentico, ancora una volta, è stato svelato.

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