“Quella delle Chiese Cristiane d’Oriente è, innanzitutto, una storia di fede, di coraggio e anche di sofferenza. Il terrorismo e i conflitti etnici e religiosi hanno reso estremamente difficile mantenere la presenza delle comunità cristiane d’Oriente nelle loro regioni di origine. La loro sopravvivenza è sempre più minacciata dalle violenze e dagli attacchi da parte di gruppi estremisti, tra cui l’ISIS”.
Sono state queste le parole pronunciate dal Presidente della Camera, Lorenzo Fontana, intervenendo al convegno “Cristiani d’Oriente: Profili storico-giuridici e culturali” organizzato a Montecitorio il 4 marzo scorso.
“Da decenni – ha sottolineato Fontana – si assiste a un esodo incessante di cristiani, in fuga da persecuzioni e discriminazioni di ogni tipo. Secoli di storia, di cultura, di tradizioni liturgiche, artistiche e spirituali delle Chiese d’Oriente rischiano di essere spazzati via dalla follia del fanatismo religioso e dalla ferocia fondamentalista”. Il Presidente della Camera ha dichiarato a chiare lettere che “i cristiani sono fra le minoranze più perseguitate al mondo. Spesso, nel silenzio e nell’indifferenza generale, questi martiri del nostro tempo muoiono due volte”.
Uno scenario che di conseguenza rende “indispensabile accendere i riflettori su questa strage senza fine. E sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi di tutto il mondo. Non si può rimanere inerti o, peggio, indifferenti davanti al grido di dolore dei nostri fratelli che non deve rimanere inascoltato”, ha sottolineato il presidente della Camera, invitando il nostro Paese, l’Unione europea e l’intera comunità internazionale ad “agire con iniziative concrete riaffermando il principio della libertà religiosa e assicurando dunque maggiore tutela dei cristiani nelle loro terre d’origine”.
Uno scenario inquietante che trova amara conferma in dati che lo sono altrettanto, come quelli emersi dall’ultimo rapporto annuale di Open Doors, secondo cui i cristiani perseguitati nel 2023 sono 365 milioni (contro i 360 del 2022), un cristiano su sette. Da un lato si è registrato un aumento dei paesi, da 76 a 78, dove la persecuzione è alta o estrema, dall’altro invece si è assistito a una diminuzione dei cristiani uccisi per la loro fede: sono stati 4.998 l’anno scorso, 13 al giorno, contro i 5.621 del 2022. La situazione è invece degenerata negli attacchi contro le chiese e altre proprietà cristiane (distrutte, chiuse o confiscate): da 2.110 a 14.766. Al primo posto, per quanto concerne i massacri, c’è la Nigeria, che anche nel 2023 non si è smentita. Infatti, l’anno scorso, sono stati uccisi per la loro fede 4.118 cristiani, l’82 per cento del totale. Un dato che, però, se confrontato a quello del 2022, è da considerarsi leggermente positivo, visto che quell’anno in Nigeria erano stati uccisi 5.014 cristiani. Secondo la World Watch List 2024, la diminuzione sarebbe dovuta al periodo di calma preceduto alle elezioni presidenziali.
Diminuisce anche il numero dei cristiani rapiti, dai 5.259 del 2022 ai 3.906 dell’anno scorso e, anche in questo caso, il calo si deve al leggero miglioramento della situazione in Nigeria. Ma, nonostante questo lieve miglioramento, la situazione nel paese africano resta comunque allarmante, basti pensare ai massacri avvenuti il giorno di Natale, soprattutto nella Middle Belt. Il Nord Corea, invece, si conferma il paese dove la persecuzione dei cristiani è più estrema. A seguire ci sono: Somalia, Libia, Eritrea, Yemen, Nigeria, Pakistan, Sudan, Iran e Afghanistan. Da come si può riscontrare il primo posto nei massacri contro i cristiani è occupato prevalentemente da paesi musulmani. Aspetto questo che dimostra come «l’oppressione islamica rimane una delle fonti principali di intolleranza anticristiana», questo è quanto riportato nel rapporto della Ong. Cristiani doppiamente oppressi, oltraggiati, umiliati da un’Europa cristiana sempre più asservita a un’ideologia che nega spazi alle proprie radici ma stende tappeti rossi a quella religione le cui frange estremiste sono i principali responsabili delle persecuzione ai danni dei cristiani (si veda la proposta di inserire l'”islamofobia” fra i reati d’opinione a livello europeo e il parallelo “invito” della commissione europea a non esprimere auguri ufficiali per le solennità cristiane da parte delle istituzioni comunitarie sostituendoli con generiche “festività”).
Tutto questo mentre in Italia il perimetro della cultura cattolica appare restringersi ogni giorno. Basti pensare agli ultimi avvenimenti del mese di marzo, come quello successo a Cantù (in provincia di Como) dove sono stati offerti gli spazi della chiesa di Santa Maria alla comunità islamica locale per il loro periodo di preghiera del Ramadan. Una soluzione che ha suscitato non pochi malumori visti già i precedenti. Infatti, nel 2020, la chiesa locale di Santa Maria fu presa in considerazione come possibile luogo da concedere alla preghiera dei musulmani in occasione del Ramadan. Ma non è finita qui, infatti, lo scorso anno, sul sagrato della centralissima chiesa di San Paolo a Cantù, si era svolto un momento di preghiera islamica accompagnato da una cena, in occasione di una manifestazione organizzata dalla comunità pastorale locale.
Quest’anno, inoltre, all’Istituto comprensivo Iqbhal Masih di Pioltello, comune della città metropolitana di Milano, si è deciso di chiudere la scuola il 10 aprile, giorno della fine del Ramadan. Una decisione presa il 19 maggio dell’anno scorso all’unanimità dal consiglio d’istituto. Una posizione che, da un lato, ha fatto insorgere la destra mentre, dall’ altro, è stata applaudita dalla sinistra dalla comunità musulmana ma anche dalla Chiesa stessa come si può riscontrare dalle dichiarazioni dell’arcivescovo ambrosiano Mario Delpini che ha sostenuto: «quanto deciso dalla scuola è addirittura auspicabile. Rispettare la festa dei musulmani è un modo per capire l’altro. Le scuole tengono in considerazione le settimane bianche, figuriamoci un appuntamento come questo. Lo ritengo un ottimo esempio davanti a una realtà complessa, che abbraccia la logica dell’incontro». All’arcivescovo si è aggiunta la lettera scritta dai parroci del comune di Pioltello, nella quale si legge che «la decisione, presa in modo collegiale, di chiudere la scuola in occasione della fine del Ramadan sia nata dal buon senso di chi opera ogni giorno in una realtà multietnica con passione e cura per ogni persona e per la sua identità».
E mentre si dà spazio a riti e festività straniere, per le tradizioni nazionali si invoca un presunto obbligo al “laicismo” dello Stato (mal interpretando leggi e Costituzione). Quest’anno in vista della Pasqua, l’Istituto comprensivo di Bagno di Romagna e Verghereto non ha permesso al parroco di celebrare la tradizionale benedizione e di incontrare gli alunni e il personale scolastico.
Un laicismo che viene portato avanti a tappe forzate anche sul web: mentre Google – che celebra coi suoi doodle qualunque ricorrenza, anche la più insignificante – ignora completamente la Pasqua cristiana lasciando anonima la pagina del 31 marzo, Facebook interrompe la diretta della Via Crucis effettuata dalla pagina di Radio Maria perché venivano mostrate… “immagini di nudo” (riferendosi probabilmente al Crocifisso).
In generale il laicismo forzato che sconfina nell’anticristianesimo contribuisce a un notevole calo del numero delle chiese con la nascita di sei parrocchie contro le cinquanta che hanno invece chiuso perdendo lo status. Secondo quanto emerso dai decreti del Viminale, che compaiono a partire dal 1993, si arriva a un totale di 277 chiese consacrate fino a oggi e di 458 soppresse. Una diminuzione costante accompagnata da altrettante diminuzioni: quelle di fedeli e sacerdoti. Nel giro di trent’anni il numero dei sacerdoti operanti in Italia è diminuito del 16,5 per cento. Erano 38.209 nel 1990, sono scesi a circa 32 mila, oltre seimila in meno. Una riduzione che solo in parte è stata compensata dall’ingresso in Italia di un sempre maggior numero di sacerdoti stranieri al servizio delle diocesi italiane, che sono passati da 204 nel 1990 a 2.631 nel 2020.
Diminuzione di fedeli che, per quanto difficile da quantificare, trova senza dubbio un’inconfutabile prova nelle chiese sempre più vuote. In Italia, nel 2022, è stato toccato il minimo storico con il 18,8 per cento delle persone che almeno una volta a settimana partecipano ad un rito religioso. Sono molto più numerosi, il 31%, coloro che non si sono mai recati in un luogo di culto, salvo eventi particolare, come un matrimonio o un funerale. In vent’anni la pratica religiosa in Italia ha subito un costante calo fino a dimezzarsi: si è passati dal 36,4% della popolazione nel 2001, che affermava di essere un “praticante”, a meno del 19% dello scorso anno. Il calo è stato progressivo negli anni ma lo scalino più ampio si è registrato dal 2019 al 2020 con la perdita del 4% delle persone che andavano a messa. Come giustificazione di questi dati, si potrebbe dire che questi risalgono al periodo del Covid e quindi delle restrizioni. Ma è anche vero che, con la fine della pandemia, la situazione non è tornata ai livelli precedenti, anzi, è degenerata ulteriormente. Non per nulla, negli ultimi vent’anni, i “mai praticanti” sono raddoppiati, passando dal 16% del 2001 al 31% del 2022. Questo è quanto emerso dai dati Istat – rielaborati dal portale di informazione religiosa “Settimana News” – da una indagine a campione. Dal dossier statistico è emerso che i battesimi sono calati dai 37-38 mila degli anni 2000 ai 20 mila attuali. Anche tenendo in considerazione la denatalità, la cifra resta comunque molto bassa.
Per i matrimoni in diocesi, dai 18 mila annui degli anni Novanta si è passati agli attuali 4000. Le chiese hanno visto un progressivo svuotamento per tutte le classi di età ma la riduzione più evidente è quella dei giovani (18-24 anni) e degli adolescenti (14-17 anni). Se complessivamente la pratica religiosa è diminuita negli ultimi vent’anni del 50%, per le prime classi di età il calo è di due terzi. Chiese sempre più vuote e gay pride sempre più pieni. Gli stessi dove non mancano immagini blasfeme come “Madonne desnude” e i Gesù Cristi arcobaleno. Tutto questo mentre continuano gli attacchi a movimenti religiosi come quelli alla Onlus Pro Vita & Famiglia, un bersaglio constante di transfemministe et similia. Dati e dinamiche da cui si può ben riscontrare che le minoranze, quelle vere, sono gettate nelle catacombe del politicamente corretto.