È ora di restituire all’Urbe la dignità di Capitale

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Mauro Reggio, Circo Massimo, 2015, olio su tela, 50x150 cm

Liberiamola dalla Raggi e poi seguiamo le tracce illuminate di Argan ed Ernesto Nathan

Ho annunciato di recente la mia candidatura a sindaco di Roma. Per Roma non posso non esserci, pur avendo già fatto molto per questa città come sottosegretario ai Beni Culturali e nella normalità della mia vita e del mio lavoro, organizzando mostre, animando proteste contro il barbaro declino, contro l’assenza degli uomini che si arrogano il diritto, però, di guidare la città eterna. Ma non può esservi dignità alcuna nella scelta di rappresentare Roma se non si considera l’aspetto fondamentale che dovrebbe muovere ogni semplice passo parlando della Capitale: chiunque sia sindaco o chiunque si occupi di Roma non può non mettere al primo punto, rispetto alla condizione delle strade, alla gestione dei rifiuti, del degrado, della criminalità, la conservazione dei beni artistici e architettonici, ancor prima delle buche. L’unica buca profonda in cui rischia di cadere Roma, difatti, è quella della mediocrità al governo della città, che nega la prosecuzione del genio che nei secoli l’ha edificata.

La Roma di Sgarbi è il suo patrimonio e ogniqualvolta la città viene brutalmente stuprata dall’incapacità e dalla cecità – come quando fu abbattuto, pochi anni fa, il villino di via Ticino al quartiere Coppedè – la città lentamente muore e si prostra, sconfitta, ad altre capitali europee, come Parigi. Ecco, proprio come a Parigi si va per visitare il Louvre, a Roma si dovrà venire appositamente per i Musei Capitolini, per i Musei Vaticani o per ammirare i capolavori della Galleria Borghese, contribuendo a rinnovare l’immagine di una città vissuta come l’Idillio verde di Pellizza da Volpedo, che ospitai al museo di Palazzo Doebbing di Sutri, in piena meditazione romantica, o per vivere la storia che ha fondato l’Occidente. Ma Roma è arte, anzitutto.

Dunque, penseremo a migliorare i servizi essenziali, così come chiedono i romani, offrendo una città realmente vivibile, la cui gestione non sarà mai relegata al caso, all’improvvisazione, condannando la vita dei cittadini all’idea del malfunzionamento da cui non v’è redenzione, del colpevole ritardo, generando l’abitudine al degrado, apparentemente impossibile da sconfiggere. Poi, getteremo le basi per il futuro prossimo, ovvero un grande piano per la cultura che restituisca all’Urbe la dignità di Capitale, rimettendo al centro dei programmi culturali l’immenso patrimonio artistico e archeologico della città che, troppo spesso, vive in contraddizione, basti pensare ai numerosi musei cittadini che non funzionano – e Roma è la prima città del mondo per i musei -, o al Palazzo delle Esposizioni, che è stato tenuto chiuso per un tempo indeterminato, e poi ai Musei Vaticani, le cui fondamenta poggiano sul suolo romano nei secoli, che ospitano un numero di visitatori annuo paragonabile a quello del Louvre. Contraddizioni che devono essere appianate.

La Roma di Sgarbi è dignità e ossequio nei confronti della sua storia. Storpiature architettoniche, scempi e abusivismi che insozzano vie e piazze calpestate da imperatori e poeti, santi e signori del Rinascimento, vacuità e sterilità dell’anima che negano a Roma il proprio millenario paesaggio naturale, come la terribile pretesa che fu di questa insufficiente reggente al trono, quale è Virginia Raggi, quando si mise in testa di elevare l’orizzonte cittadino costruendo grattacieli, azzerando, di fatto, l’armonia di un orizzonte orizzontale. Atto fortunatamente abortito. L’urbanistica di Roma, difatti, può essere in taluni punti di speculazione ma in molte aree come la Garbatella, il quartiere Coppedé o l’Eur – ultima grande architettura moderna degna di questo nome, come riconobbe Pasolini -, la dignità è nel rispetto della storia, non in pericolose e improvvise iniziative che servono a giustificare l’esistenza di alcune scelte politiche e, soprattutto, di alcuni sindaci. Roma futura, quindi, appare come quella di un tempo, sublime e intatta, seppur capace di dialogare col presente, ovvero luogo deputato al genio e alle virtù umane che prevalgono su tutto; intorno a questo la città vede un nuovo futuro, oltre ogni capriccio della globalità, oltre ogni ossessione del capitalismo e del progresso.

La Roma di Sgarbi sarà cultura, nella più fedele accezione del termine: coltivazione. La città necessita di ritrovare la propria identità nel villaggio globale, per non apparire copia sbiadita di ciò che non le appartiene, dai grattacieli, alle funivie. Che scempio! Sarò come Giulio Carlo Argan, un sindaco – critico d’arte che innalzò livello culturale della città non solo nella gestione del patrimonio, nella tutela dei monumenti o del centro storico, ma coltivando la dignità della vita, a partire dalla cultura, sin nelle borgate, nelle periferie, colmando assenze, contro la speculazione.

Roma è la prima città d’arte del mondo. Roma vuol dire Bramante, Raffaello, Michelangelo; non abbiamo nessuna possibilità di equivocare sulla sua identità, che non può che essere questa, e Argan corrispondeva al sindaco perfettamente consapevole di ciò di cui la Raggi non conosce neanche il nome. Immagino cosa potrebbe rispondere all’evocazione del nome di Piermatteo D’Amelia, di Pietro Cavallini o di Bartolomeo della Gatta. Ripercorrerò le tracce dell’illuminato Argan, come quelle di Ernesto Nathan, spingendomi anche più in là. La Roma di Sgarbi sarà degna del suo nome millenario. Fermerò la violenza che sta subendo.

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