La satira che a sinistra non ci vogliono far vedere

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Eppure oggi la satira, di materiale, ne avrebbe in sovrabbondanza. Più che in passato. Eppure latita. O meglio, la troviamo nelle riserve che il famigerato politicamente corretto, anche se ormai questa espressione ci ha rotto le balle, ha lasciato agibili. Una volta Enrico Beruschi si pittava la faccia di nero per interpretare nel glorioso Drive In di Antonio Ricci il personaggio di Beruscao: quegli sketch con Margherita Fumero erano stati di un successo strepitoso e nessuno si sentiva offeso o pensava che qualche presunta minoranza oppressa potesse sentirsi offesa. Oggi non glieli farebbero fare, lo crocifiggerebbero con lo stigma del razzista. Ve lo ricordate il regista olandese Theo Van Ghog che aveva osato satireggiare su Maometto? I mozzorecchi islamisti lo ammazzarono. E i giornalisti di Charlie Hebdo? Idem, potevano prendersela solo con Gesù e con gli italiani.

La satira oggi è morta? Di sicuro anche noi non è che stiamo tanto bene. Eppure certe uscite sulle “zone di sicurezza” a tutela di minoranze che non hanno chiesto di essere difese si presterebbero assai. Anche le assurdità gravi e ridicole della cultura della cancellazione sono compatibilissime con la satira, la cretineria abbonda. Eppure la mordacchia c’è e bella stretta, spesso e volentieri magari te la autoimponi per evitare scocciature se non peggio.

Del resto, in Italia da sempre chi va controcorrente prima o poi paga a caro prezzo la volontà di pensare con la propria testa, vedi Giovannino Guareschi, giornalista, disegnatore satirico, scrittore, papà del Candido (a proposito, se andate a Roncole trovate ancora il suo bar, quello che aprì quando lo fecero uscire di prigione, lo stesso dove il grande Montanelli lo incontrò per quella straordinaria intervista: sui tavoli, sotto vetro, ci sono le pagine del suo Candido e le sue vignette).

Per tutte queste ragioni non possiamo che accogliere come una ventata di ossigeno l’uscita del libro Politically scorrect. Le vignette, la satira e l’eresia di Alessio Di Mauro (I libri del Borghese, Pagine editore, 2022, prefazione di Ottavio Cappellani): «Roba da ridere, direte voi. Manco per sogno! Perché, parafrasando un genio politically scorrect come Flaiano, quando niente si fa sul serio guai ad avere l’aria di chi vuol scherzare», come scrive l’autore. La lettura di questo libro è una cosa che oggi va fatta di nascosto come La filosofia nel boudoir di De Sade. Oppure, in un atto eroico di immolazione, da esibirne la lettura sotto l’ombrellone. Perché ci vuol coraggio: «Magari leggetelo, se siete abbastanza forti di stomaco, ma poi bruciatelo immediatamente senza lasciarne traccia».

Questa raccolta ragionata di vignette e articoli satirici, apparsi nell’ultimo quindicennio su diverse testate nazionali è l’ultima sigaretta, il tentativo di ridere ancora di quel poco che resta delle vecchie categorie perdute e del nulla che oggi avanza e che passa il convento.

«Tempi in cui bisogna stare attenti a non offendere la sensibilità di chi è diverso, ma dove ogni differenza viene asfaltata in nome di un globalismo senza confini. Tempi in cui i neri non possono più essere chiamati tali, però possono essere mandati a pedalare giornate intere come schiavi (senza diritti né malattie pagate) per garantire, a quelli che si indignano per la schiavitù di romana memoria, la cenetta bio che salvaguarda l’equilibrio del pianeta».

Nemo propheta in patria, verrebbe da dire. E quindi facciamoci una risata e seppelliamo gli indignati speciali per le goliardate tipo la “Gara di mangiatrici di banane” della Festa degli uomini. Facciamocela ‘sta risata finché ce lo permettono, prima che magari ci facciano uscire coi piedi in avanti dopo la succitata sigaretta.

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2 Commenti

  1. Calenda… uno due tre … questo, quello o quell’altro o il pirandelliano “Uno, nessuno e centomila”. E mentre tutto questo succede, sembra oramai acclarato, dopo l’ultima e definitiva sentenza sulla “trattativa Stato-mafia”, che sul 41 bis Scalfaro si piegò alle richieste dei carcerati…”. Insomma, il giochetto di Scalfaro, con il valletto Ciampi che gli teneva la coda di paglia, era scritto a chiare lettere nelle trame ideologiche di quella parte politica da sempre pronta a vendere l’anima al diavolo di turno, pur di continuare a stare nella stanza dei bottoni che contano. Scorpacciata che, purtroppo, per lo Stivale e gli stivaliani, con, appunto, i presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, è continuata ininterrottamente fino a questo travagliatissimo presente. Tuttavia, in questo lunghissimo arco di tempo in cui la democrazia è stata messa in catene, il racconto ideologico di questo popolo senz’anima, e senza un briciolo di dignità, non è stato altro che un fetido fiume di fango riversato addosso alla controparte politica. Mentre, sotto l’occhio benevole del Quirinale, le procure d’Italia non si risparmiavano per dare dignità giuridica alla narrazione partitica. Per fortuna fallendo: non per niente il tempo è galantuomo.

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