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Nel 1997 Il Saggiatore pubblicò Io, fascista di Giorgio Pisanò, ma nessuno si sognò di togliergli lo stand al Salone del Libro di Torino. Invece, per avere in catalogo titoli come Diario di uno squadrista toscano e il libro-intervista a Salvini, Altaforte Edizioni ha meritato la mordacchia e l’esclusione dalla kermesse torinese dello scorso 2019.
“Non v’è pace per gli empi” (Is 48:22) e infatti venerdì scorso la socialpolizia (nel senso dei social) di Facebook ha prima oscurato e poi rimosso la pagina dell’editore milanese: “La tua pagina è stata nascosta perché ha pubblicato contenuti che incitano all’odio”.
Quale la colpa di Altaforte? Produce libri a favore dei crimini etnico-religiosi-sessuali? Pubblicizza la pratica collettiva della Manson family che uccise Sharon Tate? Stampa manuali d’istruzioni sulla guerriglia urbana?
Forse la sentenza della policy del social network si riferiva a qualche commento ai post di libri pericolosi per l’ordinamento democratico come Una Nazione. Simone Di Stefano accusa l’Unione Europea, già passato a giugno per le maglie della censura (sempre di FB), ma non ci risulta che le community di altre pagine, come dire?, piuttosto “vivaci”, abbiano ricevuto interventi altrettanto solerti.
In un Paese in cui l’articolo 21 della Costituzione viene usato un tanto al chilo, quello degli schiavettoni culturalmente accettati è solo lo stratagemma, nel nome del pensiero a una dimensione, per impedire a una casa editrice, che non piace alla gente che piace, di promuovere i suoi libri (letteratura, storia e filosofla, da John Dos Passos ad Alain de Benoist passando per i classici come Jack London, Pirandello, Tolstoj o H. G. Wells), che evidentemente per qualcuno vengono stampati sul verso sbagliato.